venerdì 30 novembre 2012

Le cose cambiano... i canìba no


Buone notizie dalla Cina?


Da Internazionale n° 977
Bene immobile
Wenling, Cina
22 novembre 2012



Una coppia di anziani di Wenling, nella
provincia di Zhejiang, si è rifiutata di far
demolire la sua casa per far passare una
strada. La somma offerta come risarcimento
non sarebbe stata sufficiente per
costruire un’abitazione altrove. Sul web
la coppia è stata elogiata come esempio
di tenacia contro le demolizioni forzate.
Il caso denota un cambiamento nelle
dinamiche tra istituzioni e cittadini: di
solito le demolizioni in Cina avvengono
anche contro la volontà dei proprietari.
(China Daily/Reuters/Contrasto)

venerdì 5 ottobre 2012

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mercoledì 9 maggio 2012

una poesia di Fabio Franzin, in regalo a BIBO, a maggio


(L’aqua in majo ‘a va in amór)
 Fabio Franzin

L’aqua in majo ‘a va in amór,
pì colma e fresca daa neve che
se desfa in montagna, pì verda
dal nis.cio che cresse tii fondài:

erbe longhe ‘fa cavéa de cavài
che ‘e corente strazha e peténa,
bari ‘ndo’ che i pessi se ‘sconde,
i bisàti i se strussa, i se carezha.

L’aqua in majo ‘a va in amór,
nasse un canto a òni ansa e tute
‘e creature sona co’ ea e ghe va
Drio: spande i fiori ‘l só parfùn

te l’aria e i fruti se fa rossi come
basi, scrive versi i osèi, co’i só
sói contenti, e i bissi i fa sagra
fra i fii de erba e i sassi. L’aqua

in majo a va in amór, e ‘a tèra
la ciama a far sopa, a far credha,
zó dae nùvoe, su da fossi e canài,
la ciama co’a vose sgaia dee ssisìe.


 
(L’acqua in maggio si innamora)

L’acqua in maggio si innamora, / più colma e fresca dai nevai che / si sciolgono in montagna, più verde / per la vegetazione che prolifera nel fondale: // erbe lunghe come criniere di cavalli / che le correnti scompigliano e pettinano, / ciuffi a farsi nascondiglio di pesci, / dove le anguille si strusciano, si accarezzano. // L’acqua in maggio si innamora, / nasce un canto ad ogni ansa e tutte / le creature suonano con essa e la seguono: spargono i fiori il loro profumo // nell’aria e i frutti maturano rossi come / baci, scrivono versi gli uccelli, coi loro / voli gai, e gli insetti impazzano / fra i fili d’erba e i sassi. L’acqua // in maggio si innamora, e la terra / la accoglie, ad accoppiarsi, a impastarsi, / giù dalle nubi, su da fossi e canali, / la invita con la voce vivace delle rondini.

sabato 17 marzo 2012

"Vi vogliamo bene lo stesso"

Quello in atto in Valle di Susa è un autentico «scontro di civiltà»: la manifestazione di due modi contrapposti e paradigmatici di concepire e di vivere i rapporti sociali, le relazioni con il territorio, l'attività economica, la cultura, il diritto, la politica. Per questo esso suscita tanta violenza da parte dello stato - inaudita, per un contesto che ufficialmente non è in guerra - e tanta determinazione - inattesa, per chi non ne comprende la dinamica - da parte di un'intera comunità.

Quale che sia l'esito, a breve e sul lungo periodo, di questo confronto impari, è bene che tutte le persone di buona volontà si rendano conto della posta in gioco: può essere di grande aiuto per gli abitanti della Valle di Susa; ma soprattutto di grande aiuto per le battaglie di tutti noi.

Da una parte c'è una comunità, che non è certo il retaggio di un passato remoto, che si è andata consolidando nel corso di 23 anni di contrapposizione a un progetto distruttivo e insensato, dopo aver subito e sperimentato per i precedenti 10 anni gli effetti devastanti di un'altra Grande Opera: l'A32 Torino-Bardonecchia.
Gli ingredienti di questo nuovo modo di fare comunità sono molti. Innanzitutto la trasparenza, cioè l'informazione: puntuale, tempestiva, diffusa e soprattutto non menzognera, sulle caratteristiche del progetto. Un'informazione che non ha mai nascosto né distorto le tesi contrarie, ma anzi le ha divulgate (a differenza dei sostenitori del Tav), supportata da robuste analisi tecniche ed economiche: gli esperti firmatari di un appello al governo Monti perché receda dalle decisioni sul Tav Torino-Lione sono più di 360; significativo il fatto che un Governo di cosiddetti «tecnici» il parere dei tecnici veri non lo voglia neppure ascoltare. Poi c'è stata un'opera capillare di divulgazione con il passaparola - forse il più potente ed efficace degli strumenti di informazione - ma anche con scritti, col web (i siti del movimento sono molti e sempre aggiornati) e col sostegno di alcune radio; ma senza mai avere accesso - in 23 anni! - alla stampa e alle tv nazionali, se non per esserne denigrati.

Secondo, il confronto: il movimento non ha mai esitato a misurarsi con le tesi avverse: nei dibattiti pubblici - quando è stato possibile - nelle istituzioni; nelle campagne elettorali; nelle amministrazioni; nel finto «Osservatorio» messo in piedi dal precedente governo e diretto dall'architetto Virano, che non ha mai avuto il mandato di mettere in discussione l'opera ma solo quella di imporne comunque la realizzazione. Strana concezione della mediazione! La stessa del ministro Cancellieri: «Discutiamo; ma il progetto va comunque avanti». E di che si discute, allora? Grottesca poi - ma è solo l'ultimo episodio della serie - è la fuga congiunta da incontro con una delegazione del parlamento europeo del sindaco di Torino e dei presidenti di provincia e regione Piemonte il 10 febbraio scorso. Ma ne risentiremo parlare.

Il terzo elemento è il conflitto: non avrebbe mai raggiunto una simile dimensione e determinazione se l'informazione non avesse avuto tanta profondità e diffusione. Ma sono le dure prove a cui è stata sottoposta la popolazione ad aver cementato tra tutti i membri della cittadinanza attiva della valle rapporti di fiducia reciproca così stretti e solidi.

Il quarto elemento è l'organizzazione, strumento fondamentale della partecipazione popolare: i presìdi, numerosi, sempre attivi e frequentati, nonostante le molteplici distruzioni di origine sia poliziesca che malavitosa; le frequenti manifestazioni; i blocchi stradali; le centinaia di dibattiti (non solo sul Tav; anzi, sempre di più su problemi di attualità politica e culturale nazionale e globale) che vedono sale affollate in paesi e cittadine di poche centinaia o poche migliaia di abitanti; la presentazione e il successo di molte liste civiche; la rete fittissima di contatti personali nella valle; il sostegno che il movimento ha saputo raccogliere e promuovere su tutto il territorio nazionale: Fiom, centri sociali, rete dei Comuni per i beni comuni, movimento degli studenti, associazioni civiche e ambientaliste, mondo della cultura, forze politiche (ma solo quelle extraparlamentari); ecc. La scorsa estate si è svolto a Bussoleno il primo convegno internazionale dei movimenti che si oppongono alle Grandi Opere, con la partecipazione di una decina di organizzazioni europee impegnate in battaglie analoghe: un momento di elaborazione sul ruolo di questi progetti nel funzionamento del capitalismo odierno e un contributo sostanziale alla comprensione del presente. Infine quel processo ha restituito peso e ruolo a un sentimento sociale (o «morale», come avrebbe detto Adam Smith) che è il cemento di ogni prospettiva di cambiamento: l'amore; per il proprio territorio, per i propri vicini, per il paese tutto; per i propri compagni di lotta e la propria storia; per le trasformazioni che questa lotta ha indotto in tutti e in ciascuno; persino per i propri avversari, anche i più violenti. Non a caso Marco Bruno, il manifestante NoTav messo alla berlina da stampa e televisioni nazionali per il dileggio di cui ha fatto oggetto un carabiniere in assetto di guerra (ma, come è ovvio, lo ha fatto per farlo riflettere sul ruolo odioso che lo Stato italiano gli ha assegnato) ha concluso il suo monologo con questa frase, registrata ma censurata: «comunque vi vogliamo bene lo stesso».

E i risultati? Rispetto all'obiettivo di bloccare quel progetto assurdo, zero. O, meglio, il ritardo di vent'anni (per ora) del suo avvio. Ma quella lotta ha prodotto e diffuso tra tutti gli abitanti della valle saperi importanti; un processo di acculturazione (basta sentire con quanta proprietà e capacità di affrontare questioni complesse si esprimono; e poi metterla a confronto con i vaniloqui dei politici e degli esperti che frequentano i talkshow); una riflessione collettiva sulle ragioni del proprio agire. Ha creato uno spazio pubblico di socialità e di confronto in ogni comune della valle. Ha permesso di rivitalizzare una parte importante delle proprie tradizioni. Ha unito giovani, adulti, anziani e bambini, donne - soprattutto - e uomini in attività condivise che non hanno uguale nelle società di oggi. Ha allargato gli orizzonti di tutti sul paese, sul mondo, sulla politica, sull'economia (altro che «nimby»! Il «Grande Cortile» della Valle di Susa ha spalancato porte e finestre sul mondo e sul futuro di tutti). Ha creato e consolidato una rete di collegamenti formidabile. Ha ridato senso alla politica, all'autogoverno, alla partecipazione: per lo meno a livello locale. Ha aiutato tutti a sentirsi più autonomi, più sicuri di sé, più cittadini di una società da rifondare. Infine, e non avrebbe potuto accadere che in un contesto come questo, ha messo in moto un movimento di gestione etica e ambientale delle imprese, riunite in un'associazione, «Etinomia», che conta in valle già 140 adesioni, e che rappresenta la dimostrazione pratica di come la riconquista di spazi pubblici autogestiti sia la condizione di un'autentica conversione ecologica.

E dall'altra parte? Schierati contro il movimento NoTav ci sono la cultura, l'economia, la metafisica e la violenza delle Grandi Opere: la forma di organizzazione più matura raggiunta (finora) del capitalismo finanziario: la «fabbrica» che non c'è più, divisa in strati e dispersa in miriadi di frantumi. Le caratteristiche di questo modello sociale, che ritroviamo tutte nel progetto Torino-Lione, sono state esemplarmente enucleate da Ivan Cicconi ne Il Libro nero dell'alta velocità (Koiné; 2011) e qui mi limito a richiamarle per sommi capi. La «Grande Opera» è innanzitutto un intervento completamente slegato dal territorio su cui insiste, indifferente alle sue sorti prima, durante e soprattutto dopo la fine dei lavori, quando, compiuti o incompiuti che siano, li abbandona lasciando dietro di sé il disastro. Non è importante che sia utile o redditizia. Col Tav Milano-Torino dovevano correre, su una linea dedicata ed esclusiva, 120 coppie di treni al giorno; ne passano 9: quasi sempre vuoti. L'importante è che la «Grande Opera» si faccia e che alla fine lo stato paghi. E' una grande consumatrice di risorse a perdere: suolo, materiali, energia, denaro (ma non di lavoro, comunque temporaneo e per lo più precario, che a lavori conclusi viene abbandonato a se stesso insieme al territorio). Per questo ha bisogno di grandi società di gestione e di grandi finanziamenti, cioè del coinvolgimento diretto di banche e alta finanza (il ministro Corrado Passera ne sa qualcosa); non per assumersi l'onere della spesa, ma solo per fare da schermo temporaneo a un finanziamento che alla fine ricadrà sul bilancio pubblico E' il modello del project financing , l'apogeo dell'economia finanziaria che ci ha portato alla crisi, inaugurato trent'anni fa dall'Eurotunnel sotto la Manica.

Quanto al Tav, le tratte Torino-Milano-Roma-Salerno dovevano essere finanziate almeno per metà dai privati; il loro costo, lievitato nel corso del tempo da 6 a 51 miliardi di euro (ma molti costi sono ancora sommersi e, una volta completate le tratte in progetto, supereranno i 100 miliardi) è stato interamente messo a carico dello Stato (cioè del debito pubblico). Ma per il Tav in Valle di Susa non si parla più di project financing : la fretta è tale che si dà inizio ai lavori senza sapere dove prendere i soldi. Si aspettano quelli dell'UE, che forse non verranno mai, spacciando questa attesa per un impegno «imposto dall'Europa». Ma perché quei costi sono quattro volte quelli di tratte equivalenti in Francia o in Spagna? E' il «Grande Segreto» delle nostre «Grandi Opere»: il subappalto. Le Ferrovie dello stato hanno affidato - in house , cioè senza gara - la realizzazione dell'intero progetto a Tav Spa, sua filiazione diretta. TavSpa, sempre senza gara, ha affidato il progetto a tre General contractor (le tre maggiori società italiane all'epoca: 1991), tra cui Fiat. Fiat ha fatto il progetto della Torino-Milano e ne ha affidato la realizzazione a un consorzio della sua - allora - controllata Impregilo (quella dei rifiuti in Campania e del disastro ambientale in Mugello). Impregilo ha diviso i lavori in lotti e li ha affidati, senza gara, a una serie di consorzi di cui lei stessa è capofila; e questi hanno affidato a loro volta le forniture e le attività operative a una miriade di ditte minori, attraverso cui hanno fatto il loro ingresso nella «Grande Opera» sia il lavoro nero che la 'ndrangheta: la stessa, ben insediata a Bardonecchia, che da tempo aspetta l'inizio dei lavori sulla Torino-Lione e ha già ampiamente contrattato (vedi l'inchiesta giudiziaria Minotauro) il voto di scambio con i principali partiti della Regione. I lavori che all'ultim;a ditta della catena vengono pagati 10 Fiat li fattura a TavSpA a 100. La differenza è l'intermediazione dei diversi anelli della catena, tra cui non mancano partiti e amministrazioni locali. Ecco che cos'è la «crescita» affidata alle «Grandi Opere». Ed ecco perché per imporre una soluzione del genere occorre occupare militarmente il territorio. E perché ci vuole un Governo «tecnico». Così Monti è il benvenuto.

Guido Viale
tratto da Il Manifesto, 4.3.2012

martedì 28 febbraio 2012

Le "Grandi Opere Inutili" e la progettazione alternativa del territorio

LE “GRANDI OPERE INUTILI”

E LA PROGETTAZIONE ALTERNATIVA DEL TERRITORIO

Firenze, 3 e 4 marzo 2012

Saloncino del DLF, via Alamanni 6 (presso stazione Santa Maria Novella)

Sabato 3 marzo

ore 9.00 registrazione

ore 9.30 – 13.00: Le “Grandi Opere Inutili” causa e/o effetto della crisi economica. Coordina Margherita Signorini (Italia Nostra)

 Tiziano Cardosi, comitato promotore - benvenuto

 Simona Baldanzi, scrittrice e ricercatrice - il pessimo lavoro nella “grandi opere inutili”; il caso Mugello, dai cantieri TAV a quelli della Variante di Valico

 Antonio Mazzeo, giornalista - le grandi opere come ingresso privilegiato delle mafie nell'economia globale

 Winfried Wolf, economista trasporti - la crisi economica, l'incidenza delle grandi opere nel debito e nella crisi europea

 Comitato Stoccarda, un caso di lotta popolare

13.00 pranzo, disponibile mensa Dopolavoro Ferrovieri

ore 14,30 – 18.30: Le “Grandi Opere Inutili”, la truffa del modello TAV e della Legge Obiettivo, un quadro normativo da rivoluzionare.

Coordina Ornella De Zordo (perUnaltracittà)

 Alberto Ziparo urbanista, la Legge Obiettivo: infrastrutture contro la pianificazione

 Ivan Cicconi, esperto lavori pubblici - l'appalto come strumento di ristrutturazione economica e la finanziarizzazione delle grandi opere

 Giorgio Cremaschi sindacalista, le grandi opere e il lavoro, la finanza come strumento distruttivo della società, per una nuova prospettiva ambientale e sociale

 Domenico Gattuso pianificazione trasporti, le grandi opere e la distruzione del sistema di mobilità italiano

 Winfried Wolf, l'Europa e la politica delle infrastrutture, il caso Italia e Germania, prospettive per il futuro

ore 20.00 cena su prenotazione con musica dei CROZIP plus, gruppo musicale NOTAV

Domenica 4 marzo

ore 9.30 – 13.30: Le “Grandi Opere Inutili” e la crisi della democrazia; la “progettazione alternativa diffusa” come modello di ricostruzione sociale.
Coordina Anna Pizzo (democrazia Km0)

 Paolo Cacciari giornalista, il monopolio delle decisioni, il potere delle grandi imprese, la marginalizzazione dei cittadini, il tecnico come strumento di appropriazione delle decisioni

 Gianna De Masi movimento NO TAV, La Valsusa: dalla partecipazione alla democrazia reale

 Giorgio Pizziolo urbanista, la progettazione dal basso e diffusa come alternativa alla partecipazione fittizia

 interventi e dibattito

Ogni contributo sarà intervallato dall'intervento di un comitato. Interventi e dibattito saranno

concentrati soprattutto nella sessione di domenica mattina, 4 marzo.

Tra i comitati partecipanti, movimento NOTAV Valsusa, Friuli e Veneto, comitato S21 Stuttgart, comitati della

Piana, L'Aquila, Stop that Train, autostrada A11, Pedemontana, Cispadana, Tirrenica, fermalabanca che

distrugge il territorio, BreBeMi. Tangeziale Est TO, lavoratori Breda Ansaldo...

Per chi volesse pernottare a Firenze (anche dal venerdì 2 marzo) ci sono

due possibilità:

 in albergo centrale a prezzo molto vantaggioso chiamando Judith

335 7013420

 presso una casa privata chiamando Elena 338 2830971

Per il pomeriggio di domenica 4 è prevista una passeggiata nel centro storico di Firenze per

vedere alcuni aspetti meno conosciuti della città. A seguire aperitivo presso la libreria

Cuculia in via dei Serragli 3r.

Comitato contro il Sottoattraversamento TAV di Firenze

con la collaborazione di perUnaltracittà e Italia Nostra

notavfirenze@gmail.com http://notavfirenze.blogspot.com /

338 3092948 – 335 1246551

sabato 4 febbraio 2012

UN GIALLO SULLE STRADE!!!!

Postiamo oggi un articolo importante degli amici di "PERALTRE STRADE" (che vi invito a frequentare),
che si oppongono al prolungamento dell' A27 oltre PIan di Vedoia
e a nuove strade in montagna.
Hanno ricostruito la "storia di vita"
di un pesonaggio (che conosciamo bene anche noi
nella storia dell'A28:
Bortolo Mainardi, commissario straordinario
per l'autorizzazione dell'A28... (BIBO alla pagine 140-141)?).

ed eccolo qui, a passare da oppositore a sostenitore di un'autostrada....

che cosa sarà successo?
confrontate le informazioni, leggete la
lettera di Bortolo Mainardi allora Sindaco di Lorenzago apparsa il 10 novembre del 1978 sul mensile “il Cadore”.
era il 1978!!!!
il Mainardi di quel tempo aveva quasi le mie idee di oggi,
la lettera è molto condivisibile... cosa è successo POI????
un caso davvero interessante...
un giallo da risolvere e su cui riflettere...

COSI’ VANNO LE COSE IN QUESTO PAESE

by redazione
Così sta scritto: “Per carità di Patria, non mi occupo in questa sede di coloro che stanno dietro l’operazione autostrada: scopriremo tante facce conosciute, i soliti noti che in questi 30 anni hanno attivamente collaborato perché i problemi reali della montagna non venissero affrontati e risolti, e ai quali oggi non par vero di compiere un’altra fuga in avanti rispetto ai problemi delle popolazioni interessate.
Alla gente interessa infatti sapere che rapporto c’è tra lo sfascio del sistema stradale e ferroviario del Bellunese e del Cadore e la ossessiva riproposizione dell’ormai vecchio ritornello dell’ autostrada Venezia–Monaco che, chissà come, risolverebbe – snodandosi tra le valli e sbucando sotto i passi – problemi che marciscono da decenni.”
“Parlare di cose concrete, di problemi veri e non di metafisica autostradale; questo vogliono i cittadini, i lavoratori, anche quelli disoccupati, intellettuali e non, per i quali si finisce per progettare ancora una volta l’eterna politica delle opere pubbliche. Da ultimo: ma perché, di fronte ai richiami al concreto (per esempio: c’è davvero bisogno di altre autostrade nel Veneto, dove di Km, autostradali ce n’è più che in altre regioni? non è una domanda oziosa, se si vuole operare in modo razionale) si preferisce cavarsela suonando la sirena del municipalismo e piangendo sul Veneto sfavorito e la Lombardia opulenta.
Mi chiedo spesso che cosa dovrebbero dire in questa chiave gli abitanti della Basilicata o dell’alto Sannio. Ma anche lì, come sappiamo, c’è chi ha voluto le superstrade e le autostrade, e perfino gli aeroporti abbandonati a tre-quarti dei lavori perché c’è troppo vento.”
Niente di nuovo. Gira e rigira i temi, i concetti importanti e attuali, sono sempre gli stessi: la crisi, la prepotenza dei poteri forti, la debolezza delle aree marginali, la fragilità dei territori. Tutto giusto: osservazioni condivisibili.
Ma questo testo, che potrebbe verosimilmente essere targato Peraltrestrade – il gruppo autonomo che da anni si batte contro il prolungamento dell’A27 oltre Pian di Vedoia – è invece estratto da una Lettera pubblicata nel novembre 1978 dal mensile “Il Cadore”, documento a firma dell’arch. Bortolo Mainardi, all’epoca sindaco di Lorenzago.
Un professionista che nel corso degli anni ne ha fatta di strada, e ne ha cambiato di posizioni (e di casacche…), fino a diventare uno dei maggiori fautori, nonché progettista, dello stesso prolungamento autostradale che allora contestava, già Commissario Straordinario per le Grandi Opere Strategiche del Nord-Est 2003-20006, e che oggi siede, evidentemente quale raro caso di invidiabile e poliedrica professionalità, sulle poltrone di Consigliere di Amministrazione Anas, di Commissario Straordinario per la TAV Venezia-Trieste e di membro delle Commissioni VIA e VAS del Ministero dell’Ambiente.
Una delle tante facce conosciute, dei soliti noti, uno di quelli che negli ultimi 30 anni hanno attivamente collaborato perché i problemi reali della montagna non venissero affrontati e risolti, e ai quali oggi non par vero di compiere un’altra fuga in avanti rispetto ai problemi delle popolazioni interessate.”
Così vanno le cose in questo Paese.
PER ALTRE STRADE DOLOMITI
Comitato Interregionale Carnia-Cadore
www.peraltrestrade.it
Di seguito la lettera di Bortolo Mainardi allora Sindaco di Lorenzago apparsa il 10 novembre del 1978 sul mensile “il Cadore”
L’Autostrada
L’opinione
del Sindaco di Lorenzago
Quello relativo alla questione dell’autostrada Venezia–Monaco è l’ennesimo caso di trasformismo italiano. Un problema reale – quello della viabilità e dei trasporti in un’ampia zona dell’Italia nord orientale – viene, infatti, trasformata da sapienti manipolatori, in un problema del tutto diverso, e vengono fatti intervenire, sul discorso e nella polemica, tutta una serie di luoghi comuni come la disoccupazione intellettuale, la crisi economica, l’europeismo, le lentezze dello stato burocratico, la volontà popolare e così via.
Intendiamoci, ciascuno di questi luoghi comuni nasconde un fato reale: è l’uso che se ne fa che risulta insopportabile.
Mi spiego meglio: quest’inverno una frana (non importa se di gravi o piccole dimensioni) indice la Ferrovia dello Stato a sospendere il traffico sul tratto terminale verso Calalzo. Le proteste sono poche, e significativamente vengono dai Consiglio Comunali di paesi, come Calalzo e Lorenzago che vivono anche, e soprattutto di turismo. Ebbene, sullo stesso periodo si assiste ad un spettacolare rilancio della Venezia-Monaco, con relativa proposta di Legge di iniziativa popolare per il completamento di questa poderosa arteria, che dovrebbe rivitalizzare e far diventare europee Costalta e Grea, Cadola e Lozzo.
Per carità di Patria, non mi occupo in questa sede di coloro che stanno dietro l’operazione autostrada: scopriremo tante facce conosciute, i soliti noti che in questi 30 anni hanno attivamente collaborato perché i problemi reali della montagna non venissero affrontati e risolti, e ai quali oggi non par vero di compiere un’altra fuga in avanti rispetto ai problemi delle popolazioni interessate.
Alla gente interessa infatti sapere che rapporto c’è tra lo sfascio del sistema stradale e ferroviario del Bellunese e del Cadore e la ossessiva riproposizione dell’ormai vecchio ritornello dell’autostrada Venezia–Monaco che,chissà come, risolverebbe – snodandosi tra le valli e sbucando sotto i passi – problemi che marciscono da decenni.
Ma, su questo rapporto non si dice nulla, l’iniziativa popolare, la si sollecita per collegare Monaco a Venezia (e qui, si mettono in campo perfino la storia, le leggende, le bugie sui trovati finanziatori senza interessi, e così via), ma non per imporre allo stato il rispetto per gli impegni presi, il completamento di essenziali lavori sulla statale 51, la riattivazione e il potenziamento di una ferrovia che, nel passato, rappresentò un’opera audace per progettazione e tecnologia e,ancor oggi, risulta uno tra i pochi elementi che collegano zone altrimenti abituate all’emarginazione.
Parlare di cose concrete, di problemi veri e non di metafisica autostradale; questo vogliono i cittadini, i lavoratori, anche quelli disoccupati, intellettuali e non, per i quali si finisce per progettare ancora una volta l’eterna politica delle opere pubbliche.
Da ultimo: ma perché, di fronte ai richiami al concreto (per esempio: c’è davvero bisogno di altre autostrade nel Veneto, dove di Km, autostradali ce n’è più che in altre regioni? non è una domanda oziosa, se si vuole operare in modo razionale) si preferisce cavarsela suonando la sirena del municipalismo e piangendo sul Veneto sfavorito e la Lombardia opulenta.
Mi chiedo spesso che cosa dovrebbero dire in questa chiave gli abitanti della Basilicata o dell’alto Sannio. Ma anche lì, come sappiamo, c’è chi ha voluto le superstrade e le autostrade, e perfino gli aeroporti abbandonati a tre-quarti dei lavori perché c’è troppo vento.
BORTOLO MAINARDI

giovedì 2 febbraio 2012

I nuovi contadini

Antropologia, contadini: il mio posizionamento

sul tema.

Note su un convegno-litigio a cui ho partecipato:

“La memoria dei contadini”

Museo degli Usi e Costumi della gente di Romagna. Sant’Arcangelo di Romagna 11.11.11.

(Con proposta di Legge allegata)

www.metweb.org

http://www.metweb.org/eventi/memoriacontadini/presentazione.htm

Il convegno “La memoria dei contadini” (al Museo degli usi e costumi della gente di Romagna) è stato importante e bello. La data assai speciale: 11.11.11, in ricordo del giorno in cui scadeva il contratto di mezzadria, nel mondo dei contadini, ed era un momento di grande incertezza sul suo possibile rinnovo, poiché in alternativa il contadino e la sua famiglia facevano fagotto e andavano a cercarsi altro padrone-mezzadro. E’ la storia dell’”albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi (si veda in WIKIPEDIA alla voce “albero degli zoccoli”). Il convegno concludeva L’ANNO DEI MEZZADRI celebrato con molte iniziative e ricerche in Toscana nel 2011.

La data dell’11 novembre sarà proposta come giornata nazionale della memoria dei contadini nella significativa proposta di legge che allego, che merita attenta lettura perché è un documento sintetico informato e penetrante. Quello stesso giorno, nel bel paese di Sant’Arcangelo di Romagna, alle ore 11.00 sono stati sparati 11 colpi a salve, con grande emozione di tutti i paesani e i partecipanti al convegno!

La riflessione che segue è un brevissimo resoconto della mia posizione-ricerca sui contadini, di quanto ho detto al convegno e dibattuto nel dibattito generale, assai” vivace”!!

∞ ∞ ∞ ∞ ∞

L’antropologia ha fornito, nei pochi secoli di studi che la caratterizza, un buon numero di studi sulle civiltà contadine e su attività materiali e pratiche dell’agricoltura, in Italia e nel mondo. Gli ultimi decenni del secolo scorso hanno poi messo in evidenza come dietro a tanti e diversi “fare” dei contadini ci siano tanti “saperi”: saperi ecologici, naturalistici, tecnici, su animali piante acque oggetti e nature varie. Dietro al “fare” dei contadini c’è pensiero, c’è razionalità, c’è classificazione del mondo (quelle che sono state definite ecocosmologie…).

Credo che abbiamo contribuito concretamente alla possibilità di affermare che i contadini con i loro saperi e i loro modi di fare, sono il soggetto imprescindibile per il futuro dell’umanità.

Abbiamo le informazioni sufficienti per poter dire che i contadini del passato e i contadini attuali, i cosiddetti “nuovi contadini”, sono il cardine dell’uscita dalla crisi, l’unico motivo di speranza di risanamento della Terra, sono la vera rivoluzione e i veri rivoluzionari, poiché da essi, dalla loro produzione di alimentazione, dalla loro agricoltura multifunzionale dipenderà il futuro dell’umanità e il recupero della salute della Terra.

Questo sapere oggi non è più da fondare, ma anzi dimostrato da almeno due fondamentali studiosi e frequentatori del mondo dei contadini: Jan D. van der Ploeg e Silvia Pérez-Vitoria.

I loro testi e le loro ricerche sono imprescindibili per chiunque voglia fare un discorso sui contadini oggi.

Silvia Pérez scrive che:

  • I contadini non sono la stessa cosa degli imprenditori agricoli
  • Usano la terra, piuttosto che averla in proprietà
  • Realizzano l’autoconsumo prima dell’immissione nel mercato dei loro prodotti
  • Realizzano scambio ecologico anziché scambio economico
  • Praticano l’arte di valorizzare il gratuito della terra
  • Praticano l’aiuto reciproco piuttosto che la competizione
  • Possiedono saperi e saper fare piuttosto che agronomia universalista
  • Praticano la Razionalità ecologica piuttosto che quella economica

Van der Ploeg conferma queste idee con una mole enorme di dati, contesti e situazioni, documentando che esistono molteplici sfumature di questo essere contadini, oggi; che è visibile in tutto il mondo la “ricontadinizzazione” del mondo, taciuta però dalla stampa mainstreim, e anche in Italia e in tutta Europa essa è concreta; che esiste una lotta tra “Impero” e la comunità contadina, e che il futuro dei contadini è indispensabile al futuro di tutta l’umanità.

IN SINTESI, emerge chiaramente dagli studi come il processo capitalistico abbia ridotto la situazione contadina (un modo, uno stile di vita, non una classe, un ceto, una eredità, una condanna…) all’agricoltura industriale: un processo di distruzione dei contadini, poi ammantato di verde, poi di green economy, che ha prodotto fallimenti e non-efficacia, inquinamento di aria acqua e suolo, perdita di fertilità della Terra, espropriazioni delle sementi, impoverimento delle popolazioni, urbanizzazione dei contadini e –nuova- urbanizzazione delle terre, perdita della sovranità alimentare e nessuna risoluzione del problema della fame nel mondo.

In quanto antropologa che ha intensamente studiato e vissuto nel nordest d’Italia, posso testimoniare cosa sia successo ai contadini in queste zone, come siano stati distrutti e come si presenti oggi ai nostri occhi il paesaggio naturale e culturale del deserto/tabula rasa che è stato creato (qui non occorre che mi ripeta, basta leggere i miei libri o il lavoro dei blogger www.bibodallapaludeaicementi.com).

Posso elencarne qualche drammatico meccanismo della distruzione dei contadini, soprattutto ad opera della cosiddetta “urbanizzazione” delle terre (detta anche “valorizzazione”, mentre si tratta invece della sottrazione delle terre e del lavoro contadino attraverso costruzione di opere cementificatorie di vario tipo quali strade, autostrade, centri commerciali ecc. ):

  • costruzione/ripetizione della retorica della “miseria dei contadini”, quando invece si trattava spesso di quella frugalità così importante da ri-raggiungere oggi (vedi per es. decrescita).
  • Retorica della “povertà” dei contadini nel mondo
  • Banalizzazione dei terreni e delle aziende coinvolti da grande opere di urbanizzazione della terra, in modo da non dover giustificarne la sottrazione. Non riconoscimento della produzione di paesaggio.
  • Alleanza tra sindacati degli imprenditori agricoli/amministratori /politici/stampa mainstream,
  • Demonizzazione degli ambientalisti, che rende difficile l’alleanza tra contadini e ambientalisti
  • Desertificazione cartografica delle zone agricole.
  • Proposte di mitigazione monetaria in cambio della sottrazione delle terre
  • Inquinamento del linguaggio, per cui la distruzione delle terre è chiamata esternalità, l’efficacia del lavoro contadino deve diventare profitto e valore aggiunto, pena la sua invisibilità, la dignitosità frugale è chiamata povertà ecc.,
  • Nostalgia imperialista: si celebra nelle sagre, nelle feste inventate, nei musei quel mondo contadino che si è attivamente contribuito a distruggere.
  • Interiorizzazione della distruzione del modo contadino da parte dei contadini stessi: convinzione che non si può più essere contadini oggi, che non serve, che non dà lavoro; uso spropositato di chimica-meccanizzazione e auto-riduzione dell’autonomia del lavoro..

Si finisce poi con i suicidi dei contadini (India)

Silvia Vitoria-Pérez lo dice chiaramente: ci sono solo due strade, opposte e inconciliabili: o l’agricoltura industriale o l’agricoltura contadina e quindi i contadini. Non siamo a diversi stadi di un unico sviluppo, di una unica strada in cui gli imprenditori agricoli sono più avanzati e i contadini più arretrati.

Non c’è spazio per entrambe le agricolture, neanche lo spazio fisico per entrambe c’è.

C’è piuttosto una lotta tra le due.

I CONTADINI NON DEVONO SPARIRE, MA ESSERE RICONOSCIUTI COME UNA FONDAMENTALE OPPORTUNITA’ PER LE SOCIETA’. I contadini sono indispensabili per il futuro dell’umanità e della Terra, in quanto produttori di cibo per le masse urbane, costruttori di paesaggi, custodi della Terra.

Ecco quindi cosa è successo al Museo di Sant’Arcangelo di Romagna:

Io ho criticato le organizzazioni DEGLI AGRICOLTORI sindacali concertative presenti al convegno per questi motivi:

  • Perché non ri-conoscono la “nuova agricoltura” e il fenomeno della “ricontadinizzazione” che riguarda anche l’Italia. E questo è inaccettabile da parte di un soggetto sociale che si occupa di contadini e agricoltura.

· per aver continuato a sostenere l’imprescindibilità/inevitabilità/insostituibilità dell’agricoltura industriale, a fronte degli enormi problemi ambientali creati da questa industrializzazione. Il fenomeno è simile a quanto successo ad Oxford: gli studenti di economia hanno contestato e abbandonato l’aula dei docenti che illustravano le teorie liberiste senza il minimo accenno di critica e di consapevolezza. Oggi essa è pretesa.

  • perché tendono a nascondere i danni ambientali alla Terra causati dall’agricoltura industriale, facendo allo stesso tempo ambientalismo che io chiamo “da tavolino”: solo a parole, avvallando o sostenendo pratiche amministrative di distruzione di terra e di contadini
  • perché sostengono visioni negative degli ambientalisti e contribuiscono attivamente alla riproduzione di stereotipi su di essi (“gli ambientalisti non propongono nulla”, “se fosse per loro non si può fare nulla”… “vogliono tornare al tempo delle candele” e così via…), stereotipi che impediscono il confronto, la critica, la collaborazione, l’individuazione delle migliori strategie.
  • Perché non parlano di “contadini” ma solo di imprenditori agricoli
  • Perché la loro visione privilegia e favorisce l’agricoltura solidale con la chimica, con le imprese, con il libero mercato, con la meccanizzazine spinta (vedi il caso della macchina raccoglitrice di olive, che ho aspramente citato e criticato) avendo interiorizzato la –presunta- fine dei contadini.

Credo che le mie argomentazioni siano state ascoltate e che allo stesso tempo questo abbia un po’ destabilizzato le associazioni sindacali. Un rappresentante al tavolo del convegno ha infatti ammesso di “essere entrato pienamente in crisi” dopo la relazione di Conti-Breda e altri del tavolo di discussione.

Abbiamo anche litigato un po’!

COSA DIRE E COSA FARE

  • Dobbiamo fare tesoro dei saperi antropologici acquisiti e consolidati, ma andare oltre. I tempi attuali camminano molto velocemente e richiedono aggiornamento e posizionamento.
  • Dobbiamo dire quello che sappiamo ORA: diffondere gli studi di Silvia Vitoria-Pérez e di Jan D. van der Ploeg, che sono basati su ricerche sul campo e su frequentazione assidua dei contadini di tutto il mondo.
  • Dobbiamo creare alleanze tra studiosi-contadini-ambientalisti, rompendo quella svalorizzazione di uno o dell’altro a rotazione, che tanto fa comodo ai poteri forti e ai mainstream di turno. Serve questa alleanza perché ognuna di queste categorie ha bisogno dell’altra per affrontare le problematiche: non basta più studiare i contadini senza far sentire le loro voci, o studiare i contadini senza l’apporto dei contadini, o parlare “al posto dei” contadini, come spesso fanno i sindacati, o gli ambientalisti stessi. Né i contadini possono praticare un’agricoltura che non sia connessa con le tematiche di salvaguardia ecologica messe in risalto dagli ambientalisti. Infine sono necessari ad entrambe le categorie gli studi dei ricercatori su questi temi. I quali ricercatori devono “stare sul campo” e non a tavolino.
  • Dobbiamo lavorare sul linguaggio e sul modo di rappresentare il mondo contemporaneo dei contadini (per es. decostruendo l’ideologia della miseria e della povertà dei contadini del passato, che solo ora riconosciamo essere in larga parte una retorica costruita ed eccessiva-rispetto alle vere condizioni materiali dei contadini). Dobbiamo disinquinare anche il linguaggio che si riferisce alla Terra e ai contadini.
  • Dobbiamo studiare i “nuovi saperi” e le “nuove abilità” che vengono messe in campo dai contadini contemporanei, oltre ai saperi che abbiamo finora studiato, criticato ed apprezzato…
  • Dobbiamo sostenere tutte le azioni politiche che tutelano l’agricoltura contadina e valutare le politiche proposte chiedendoci se veramente vanno a favore dei contadini.
  • Ovviamente, bisogna fare ricerca sui contadini.

Nadia Breda 25.01.2012

PROPOSTA DI LEGGE

“ISTITUZIONE DELLA GIORNATA NAZIONALE

DEDICATA ALLA MEMORIA DEL MONDO CONTADINO”

d’iniziativa del deputato Cenni

relazione al Parlamento Italiano

ONOREVOLI COLLEGHI! – Le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato il mondo rurale soprattutto nel secolo scorso hanno rappresentato una chiave di lettura privilegiata per interpretare e comprendere al meglio i mutamenti del contesto sociale, demografico, economico, produttivo e culturale dell’intera nazione.

Sviluppi e metodologie della produzione agricola attraverso i decenni, le rivendicazioni per ottenere un moderno stato sociale, le lotte sindacali, i flussi demografici di inizio secolo scorso verso i paesi esteri, la presenza massiccia di braccianti e contadini nelle truppe militari (non c’è paese in Italia che non abbia caduti che venivano dai “campi”); il successivo e determinante contributo alla guerra di Liberazione, il boom industriale e l’urbanizzazione delle città; il riconoscimento della funzione di presidio ambientale, di tutela della biodiversità oramai presente in ogni indirizzo comunitario, nazionale, regionale, che orienti l’uso delle risorse pubbliche in agricoltura fino alla recente valorizzazione dei prodotti tipici, dei flussi turistici e delle economie che attorno ad esso si sviluppano e alla riscoperta di una connubio importante tra attività agricola e patrimonio paesaggistico ambientale sono solo alcuni tra i principali passaggi storici che hanno visto un ruolo, spesso di primo piano del mondo contadino, un mondo quindi protagonista, attraverso la propria fatica, le proprie conoscenze, la propria coscienza, di cambiamenti, di evoluzione culturale e sociale. Un ruolo diversificato e complesso.

La civiltà contadina, pur con caratteristiche e processi storici differenziati territorialmente, non può essere rappresentata solo attraverso l’immagine dei “lavoratori della terra”.

La relazione fra città e campagna, i rapporti di tipo contrattuale fra contadini e proprietari terrieri, la famiglia contadina e la sua funzione, hanno generato e segnato l’economia, il diritto in modo articolato. Nella letteratura antropologica i contadini fanno parte di un’area intermedia tra le società più semplici e quelle complesse e industriali. Questi lavoratori sono dominanti in contesti di società povere e parsimoniose, ma mai interamente autonome, in quanto dipendono dal mercato o dal padronato, o dai sistemi di intermediazione.

Gli studi antropologici hanno messo in evidenza, in questo contesto, le pratiche attinenti a queste società contadine: dalla tendenza alla auto sussistenza, alla rilevanza delle forme di matrimonio, dal risparmio cerimoniale per gli eventi festivi, alla gestione familiare, dalla religiosità, al mondo delle credenze, al ruolo delle donne dentro la larga “comunità” familiare. Senza dimenticare che appartengono all’universo “contadino” anche i lavoratori senza terra o con contratti parziali. In Italia la lista di queste forme occupazionali è stata studiata accuratamente ed è ampia e diversificata: dai braccianti, agli enfiteuti, fino ai mezzadri con colonia classica che sono stati una delle tipologie di contadini più importanti nella storia nazionale.

Il mondo delle campagne nel nostro paese è stato inoltre fortemente rappresentato nella cultura: la letteratura, dalla satira del villano, fino al mito del contadino tra emigrazione e ribellione nell’Italia moderna. Da Alessandro Manzoni a Giovanni Verga, da Corrado Alvaro a Francesco Jovine, da Ignazio Silone a Grazie Deledda e Cesare Pavese, hanno plasmato la storia letteraria nazionale. Sono stati anche alla base di quella “disgregazione sociale” che rappresentava il Sud nelle pagine di Antonio Gramsci. Anche il cinema ha dato la proprie diversificate letture mostrando sia il mondo degli “umili” già manzoniano (“L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi), quello delle ribellioni (“Novecento” di Bernardo Bertolucci) o anche dell’urbanizzazione (“Berlinguer ti voglio bene” di Giuseppe Bertolucci), per fare qualche esempio.

E’ comunque opinione diffusa che l’epopea dei contadini italiani rappresenti, nelle sua evoluzione storica, sociale e culturale, una pagina drammatica ed epica della storia nazionale. Mutamenti, spesso radicali, di un mondo dai valori e dalle usanze arcaiche, che ha perso gradualmente (fatta eccezione per alcune realtà ancora attuali ed alla citata riscoperta della campagna come habitat lavorativo) la sua identità e la sua funzione. Subendo al tempo stesso quel disagio “relativo” (come testimoniano, ad esempio, gli studi di Nuto Revelli e di Emilio Sereni, i numerosi musei e centri espositivi di documentazione sul mondo contadino, le opere di bonifica, le riforme agrarie oltre alle raccolte delle testimonianze dirette e gli archivi orali) verso i nuovi consumi urbani che ha fatto emergere una contraddittoria situazione sociale favorendo l’abbandono della terra verso il lavoro dipendente o la nascita di piccole imprese. Parallelamente alla “fuga” dalle campagne ed all’ingresso nelle attività produttive, i contadini stessi hanno elaborato una sorta di oblio del loro passato, considerato quasi misero e vergognoso.

Merita una citazione, in questo contesto, la mezzadria: una tipologia di conduzione agricola particolarmente diffusa in molte zone del nostro paese e dominante nei territori dell’Italia centrale che ha avuto un ruolo particolare sia per la posizione intermedia tra padronato, fattori, e braccianti, sia per il rapporto con la “Resistenza” e le lotte sociali. I mezzadri sono stati spesso i protagonisti di movimenti che hanno accelerato e promosso processi di democrazia e di rinnovo della classe dirigente.

Ovviamente, e fortunatamente, alcuni aspetti della civiltà contadina che ha caratterizzato la prima metà del ‘900, non sono del tutto dispersi ed abbandonati. Tutt’oggi si può parlare di “contadini”, riferendosi alle aziende familiari presenti nell’agricoltura contemporanea. Certo si tratta di famiglie ben diverse in un’epoca di denatalità, di aziende capaci di coniugare ricerca ed innovazione con le antiche conoscenze, la sapienza, la pratica delle più naturali tecniche colturali; di fattorie che hanno imparato ad integrare con ricettività turistica o produzione energetica il reddito agricolo. I nuovi contadini, consapevoli della ricchezza rappresentata dalle origini della civiltà contadina, sono coloro che mantengono una straordinaria capacità di selezionare le sementi in modo naturale, nonché di costruire relazioni ed accordi con il mondo della trasformazione, del commercio, della ristorazione. Ed ancora, vale la pena di ricordare il rilievo che i contadini e le loro attività rappresentano, soprattutto nelle aree più marginali del nostro paese, quale presidio del territorio e del paesaggio.

Prende spunto da questi ultimi elementi, ormai da alcuni anni, grazie anche a rivisitazioni antropologiche sociali e culturali di respiro internazionale, una oggettiva, riparatrice e quanto mai opportuna rivalutazione della figura del contadino ed anche una grande attenzione al tema del recupero della “Memoria” dei saperi, degli strumenti per la sua trasmissione (riti, dialetti, canti come i “Cantori del Maggio”) sui quali Enti ed Amministrazioni pubbliche, soggetti privati, Associazioni sono impegnati. Si ricomincia a parlare con riconoscenza del “condadino” guardando al futuro e non solo al passato, per l’alimentazione, per la critica alla moderna agroindustria senza identità, per la necessità di tutela del territorio, per il sovraccarico demografico e la complessa qualità della vita delle metropoli, per un modello di sviluppo industriale che mostra oggi evidenti limiti. Si guarda alla civiltà contadina come ad un pezzo della nostra storia da recuperare anche dentro ad un necessario ripensamento dei modelli di sviluppo e di crescita.

In questo quadro di riconoscimento, di valorizzazione di restituzione di dignità e di memoria si colloca quindi la presente proposta di legge che solleva l’opportunità, da parte del Legislatore, di istituire la “Giornata nazionale dedicata alla memoria del mondo contadino”.

A differenza di altre analoghe iniziative legislative, volte a radicare nella coscienza pubblica eventi di rilievo tale da avere segnato e condizionato la storia del nostro paese, soprattutto nel secolo passato, questo provvedimento è dedicato ad un tema che, forse più di altri, sfuggendo ad una periodizzazione puntuale, evoca la lunga durata, e, in un’epoca di incessante mutamento dei rapporti sociali, nonché di profonda crisi dei modelli economici e di sviluppo, ripropone la riflessione su realtà e su modi di vivere e di pensare che solo una nozione univoca e banalizzata di modernità considera ormai consegnati ad un passato definitivamente trascorso.

La proposta di legge in oggetto è composta da tre articoli: il giorno 11 novembre, in cui ricorrono le celebrazioni di San Martino (data particolarmente rilevante per la vita economica e sociale delle campagne italiane), viene riconosciuta dalla Repubblica italiana come “Giornata nazionale dedicata alla memoria del mondo contadino” (articolo 1). Tale giorno viene così a rappresentare, ai sensi dell’articolo 2 (che esclude la presenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica), una scadenza per tutti coloro i quali, a vario titolo, si occupano delle problematiche inerenti al mondo contadino: le istituzioni, il mondo agricolo, gli istituti culturali pubblici e privati ed i singoli studiosi impegnati direttamente nella conservazione e nella diffusione della memoria che l’11 novembre intende celebrare, anche attraverso una consistente rete di musei, archivi, biblioteche, ma anche le associazioni dei produttori, i cooperatori, gli imprenditori, la scuola, l’università e la ricerca. Le tematiche che possono caratterizzare la “Giornata” sono infatti molteplici, offrono spunti diversi e si prestano ad essere affrontate da differenti punti di vista: è auspicabile quindi che una simile scadenza venga utilizzata al meglio, e favorisca, quanto meno, l’incontro, il ricordo e la proposta su quello che è stato e sui possibili scenari economici e sociali di un futuro sempre più complesso e sempre meno prevedibile. L’articolo 3 definisce infine, data la straordinarietà di materiale storico, documentario, didattico raccolto e le numerosissime iniziative locali in essere, la messa in rete di tutte le realtà (centri di documentazione, raccolte di testimonianze, centri didattici, ecc..) che nella loro complessità daranno vita alla “Rete italiana della memoria della civiltà contadina”.


PROPOSTA DI LEGGE

ARTICOLO 1

1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 11 novembre come “Giornata nazionale dedicata alla memoria del mondo contadino”.

ARTICOLO 2

1. In occasione della Giornata nazionale di cui all’articolo 1 possono essere organizzati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, cerimonie, convegni, incontri e momenti comuni di ricordo e di riflessione, anche nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle Università, al fine di diffondere e sviluppare la conoscenza del mondo contadino nella sua dimensione antropologica, economica, sociale e storica; di favorire l’incontro e la collaborazione tra associazioni, fondazioni, enti e istituti pubblici e privati, a vario titolo impegnati su questi temi; di promuovere su di essi attività di formazione, informazione e sensibilizzazione.

ARTICOLO 3

1. E’ costituita la “Rete italiana della memoria della civiltà contadina”. La Rete si compone dei centri di documenti, di ricerca, di raccolta di testimonianze orali, materiali, delle Istituzioni, Associazioni, Enti impegnati nel recupero e nella raccolta. La rete, concordando le modalità con la Conferenza Stato – Enti locali, fa riferimento ai Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali ed al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che danno vita ad un apposito sito internet.

domenica 8 gennaio 2012

Arboricidio premeditato e barbarie a Conegliano e a San Fior (e Zaia non docet!)


[pubblichiamo questo post di Paolo Steffan dal suo BLOG 
Una sola riflessione: condividiamo in toto quanto detto sulla DISTANZA tra PAROLE e ATTI AMMINISTRATIVI CONCRETI: sono 2 mondi distanti anni luce, distanza  evidente in particolare nel mondo evocato dalla LEGA: difesa del territorio, delle tradizioni, del mondo Veneto (le PAROLE) contro la realtà di un depauperamento culturale, territoriale e amministrativo reale (ATTI CONCRETI) prodotto negli ultimi 20 anni leghisti tale che 130 anni di Stato italiano non sono riusciti a realizzare. 
La vicenda della autostrada A28 sopra i palù raccontata da Nadia Breda è una storia esemplare di questa distorsione della realtà.]

di Paolo Steffan
Cronaca di svariati crimini, gennaio 2012
Questo inverno, a Conegliano e a Castello Roganzuolo (San Fior) c’è una nuova pestilenza in atto, qualcosa che provoca dolore vedere, toccare, ricordare e respirare, e di respirare ci dà meno libertà, di ricordare l’impossibilità. Si tratta dell’uccisione di grandi alberi, della barbarie di cui sono vittima le siepi (e i fossi e gli argini). Alberi (e siepi) che hanno impiegato lunghi anni a crescere e a impreziosire, ispessendosi ed ispessendoci culturalmente! Alberi che sono depositari di memorie ed identità pari a quelle dei grandi monumenti, dei sacrari, degli affaticati colli.
***
Ebbene, cominciamo.
Parte I: Conegliano, arboricidio lungo il Monticano. E le “radici della città“?
A Conegliano usciva un libro, la primavera del 2011, meno di un anno fa: si intitolava LE RADICI DELLA CITTA’: alberi pietre e mappe a Conegliano (Arti Grafiche, Conegliano, 2011), bellissima pubblicazione dell’associaz. culturale Artestoria, con saggi di Lucio Dal Pan, Isabella Gianelloni e Michele Zanetti. Patrocinata dal Ministero delle Politiche Agricole, dal Comune di Conegliano e dalla Regione Veneto. Presentato da Alberto Maniero, sindaco di Conegliano, e niente meno che Luca Zaia. Vediamo prima di tutto cosa scrive degli alberi proprio Luca Zaia (p. 3):
Gli alberi sono i guardiani del nostro territorio e di questo contribuiscono a determinare le fattezze e il carattere.
In essi ritroviamo un presente che cerca di rimanere ancorato in modo saldo al suo passato. Un passato che, oltre ad aver forgiato la nostra identità, culturale, economica e sociale, ha determinato anche quella spaziale dei nostri territori, modellando, attraverso i secoli, i luoghi del vivere quotidiano.
Gli alberi sono ‘i grandi vecchi’ delle nostre città, monumentali entità che con la loro presenza ci ricordano le storie della comunità. Attorno a queste figure tanto vive quanto silenziose, si è sviluppato quell’ambiente rurale e urbano che ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale della nostra Regione. Così gli alberi diventano ‘esseri animati’, dotati di un’anima, quasi un genius loci della nostra terra
I nostri figli devono imparare che gli alberi non sono solo utili in quanto capaci di produrre frutti o di diventare combustibile, ma sono un codice per decifrare lo sviluppo e l’essenza della nostra comunità, dell’esser popolo di una terra, la nostra.
Che belle parole, sarebbero da far leggere nelle scuole! Un poeta, Zaia!!! … No, CAZZO: un politico!!! E allora vediamo cos’ha detto, e fatto, come politico, il signor Zaia, quando gli alberi erano quelli, dall’immenso valore specifico, dell’area Palù di S. Fior di Sotto-S. Vendemiano, dove per un tratto breve, ed abbastanza inutile [vedi il casino che c'è in SS13 Pontebbana da lunedì mattina a domenica sera], sono state sacrificati al Dio dell’asfalto migliaia di alberi siepi e acque sorgivissime (cito da Nadia Breda, Bibo. Dalla palude ai cementi. Una storia esemplare, CISU, 201o, p. 113 sgg.):
Il progetto si fa sulla carta e  sulle carte è riportato tutto (L. Zaia, “Il Gazzettino”, 26 feb 2006) [Ah sì, governatore? E gli alberi?...]
Non è una grande sorpresa [...] Li definirei ritrovamenti fisiologici, non credo proprio che il cantiere corra il rischio di essere bloccato per questo [...] Credo che anche in altri tratti percorsi dall’A28 si possano trovare reperti che comunque hanno limitato interesse e non giustificano certamente un blocco dei lavori (L. Zaia, La Tribuna, 23 giu 2002) [Ah sì, governatore? E l'identità? E la storia della civiltà rurale?]
Sarò soddisfatto solo quando sentirò il rumore delle ruspe e vedrò i cantieri aperti (L. Zaia, Il Gazzettino, 6 lug 2000) [Ah sì? Un cultore del rumore delle ruspe che ami gli alberi non si è mai sentito, Zaia caro!]
I veti posti dagli ambientalisti ci fanno un baffo (L. Zaia, La padania, 16 lug 2000)
Eccetera eccetera. Tante altre chicche di Zaia e suoi simili, tante altre ipocrisie (e lo dico senza cattiveria, perché chi da “poeta” scrive una cosa, ma poi nei fatti da “politico” ne fa tutt’altra, è un eufemismo dargli dell’ipocrita!) troverà chi legge la cronaca riportata in una sezione del libro di N. Breda…
Ricordato doverosamente ciò, torniamo più strettamente al discorso sugli alberi di Conegliano; della presentazione del sindaco Maniero mi limito a citare degli stralci (Le radici della città, cit., p. 5):
[...] alberi, “saggi custodi della memoria”, che sono parte integrante del paesaggio e dell’ambiente della città.
[...] alberi che ancora oggi comunicano con “le antiche pietre” e alberi che sono testimoni di un patrimonio storico artistico andato distrutto.
[riferendosi alla pubblicazione di Artestoria sugli alberi] vuole essere un percorso di salvaguardia della memoria [...]
Mah…
Mo’ vediamo le foto della “salvaguardia della memoria” nel verde lungo Monticano coneglianese, in un punto peraltro paesaggisticamente rilevante, da cui si ha tutta una panoramica in crescendo dei punti chiave della città:
PRIMA
Le grandi alberature del Monticano (foto di P. Steffan, scattata nel 2008, valida fino al dicembre 2011)
DOPO
Brandelli di cadaveri arborei (gennaio 2012)
Il Monticano orfano delle alberature viste sopra (gennaio 2012)
***
Parte II: arboricidi e siepicidi nei luoghi religiosi e storici più importanti di Castello Roganzuolo (S. Fior): alla facciaccia del Laudes Creaturarum di San Francesco (Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra matre terra, / la quale ne sustenta et governa, / et produce diversi fructi con coloriti flori et herba) e della memoria rurale (già stupratissima, come ho già qui rivelato in passato)!
Vediamo ora come i cittadini e – peggio – i PARROCCHIANI (fede in Dio e rispetto del Creato? Ma dove!?!) di Castello Roganzuolo (S. Fior) si rendano partecipi di questo sciacallaggio, proprio nel luogo più alto bello e significativo dei colli di questa località:
A) Chiesa monumentale e casa privata sottostante: tot. 6 grandi alberature:
PRIMA
Il colle con le sue straordianarie alberature, contribuenti alla bellezza del monumentale insieme
DOPO
La squallida nudità del colle dopo la barbarie perpetrata durante le festività natalizie (dic-gen 2011-12)
Particolari sul luogo del delitto (gen 2012)
B) Devastanti tagli-potature di siepi nella vecchia viabilità ad opera di privati: via Moranda Alta
PRIMA
Viabilità storica di Castello Roganzuolo (via Moranda Alta), con alte alberature (sul lato sinistro della foto) in dicembre 2011
DOPO
Le alberture viste sopra in gennaio 2012: se questa è manutenzione di siepi e alberi, se questo è un modo civile di "far nèt" lungo la viabilità storica di Castello Roganzuolo, allora potevate bruciare steffanpaulus:::suluapnaffets sul panevìn quest'anno!
A pochi passi dal precedente scatto: alberi e siepe motosegati nel modo più barbaro e ignorante possibile! (via Moranda Alta, Castello Rog., gen 2012)
***
Cari Sindaci, caro Governatore Zaia: non bisogna forse cambiare registro, forse regolamentare in modo più CIVILE il rapporto cittadini(/parrocchie)-alberi/siepi? in nome della Memoria, del decoro e della miglior qualità della vita in Veneto, che i cari concittadini complici del devasto forse non vogliono! Noi umani sì!
E continuate pure a dire che sono un insopportabile rompicoglioni; credo di essere uno che preferisce vivere con la MEMORIA e col Creato, non scriverne bene e poi razzolarne male!
Tutto questo, a futura memoria NOSTRA e degli Alberi del Monticano e di Castel Roganzuolo!!!
Vostro Paolo Steffan
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