martedì 21 giugno 2011

Nadia Breda: partendo da Trevisan considerazioni sul termine NORDEST, sull'ALBERO e sulla RESPONSABILITA'

Ringraziando Andrea Mattarollo per il suo commento relativo all'importante dibattito con Vitaliano Trevisan e Franco Zagaro alla Fondazione Benetton, desidero anch'io riprendere alcune idee e condividere una riflessione sull'albero e sulla responsabilità, passando per il nordest
1. I tempi sembrano maturi innanzitutto per abbandonare questa brutta definizione di “NORDEST” -in cui io pure sono stata "tratta", invischiata, a furia di leggere cose sul NORDEST- che non ha alcun senso geografico e poco socio-antropologico. L'ho capito definitivamente guardando una carta geografica acquistata in Nordeuropa da un amico, con punto di vista da nord Europa verso il sud Italia, da cui si vede come noi che ci crediamo vivere nel nordest, in realtà siamo il SUD di altri -risaputo- e poi, cosa molto più importante, si vede bene l'unità ecologica delle Alpi e i suoi versanti Europei, cosa di cui ci occupiamo assai poco e di cui sappiamo assai poco... NORDEST è un concetto infatti Roma-centrico! paradossale che lo abbiamo usato proprio noi critici del nordest.

2. L'ALBERO
Esiste una vasta letteratura sull' e una storica attenzione ad esso, ma per me è stato illuminante e fondamentale il libro di LAURA RIVAL, The Social Life of Trees, un lavoro del 1998 di questa brava antropologa inglese (per le edizioni BERG e purtroppo mai tradotto in Italia). Questa studiosa ha raccolto i contributi di alcuni autorevoli antropologi a cui aveva chiesto di rispondere a una domanda: perchè l'albero è così importante in tutte le culture e le società della terra? E' noto infatti che l'albero, come dice Laura Rival, “provvede alcuni dei più visibili e potenti simboli dei processi sociali e delle identità collettive”: differenti società e culture usano l’albero per rappresentare l’esistenza umana e sociale, individuale e sociale. Si pensino a tutti i riti (piantare l'albero alla nascita, seppellirvi placenta e cordone, simbologie sessuali dell'albero...), al rapporto religioso con l'albero (l'albero della vita, la croce come albero...), all'albero nella mitologia e nella letteratura, nella politica (riforestazioni, deforestazioni...piantagioni coloniali... campagne di piantumazione ecc. ecc.), nella rappresentazione della parentela (albero genealogico, ma la genealogia è rappresentata come un bananeto in alcuni gruppi africani...)
L’albero è una complessa rappresentazione culturale composta da differenti tipi di conoscenze e di operazioni cognitive. L’albero è sistematicamente associato alla salute dell’ambiente, al benessere della comunità e alla sua prosperità, alla salute e al vigore di una comunità.
Esso è usato per simbolizzare le collettività politiche, per dare dimensione rituale ad attività politiche, per dare sostegno alle politiche di conservazione.
In ogni cultura e in ogni società emerge chiaramente l'immagine di un tema ricorrente: la vitalità e il potere di rigenerazione degli alberi. Gli alberi cioè sono usati simbolicamente per rendere concreto e materiale la nozione astratta di vita, l’albero è il supporto ideale per questa concezione di vitalità. Le conclusioni a cui si arriva con L. Rival attraverso l’approccio etnografico sono che ciò che sembra guidare il simbolismo dell’albero non è tanto il transfert di intenzionalità su organismi non umani, quanto piuttosto il bisogno di trovare entro l’ambiente naturale la manifestazione materiale di un processo organico che possa essere riconosciuto simile a quello che caratterizza il ciclo di vita umano, o la continuità di esistenza della società.



Sarebbe interessante ma è qui improponibile ripercorrere i molti esempi che Laura Rival discute nel suo libro per addentrarci nella complessità di questo “artefatto politico” che è l'albero.
E' importante però interiorizzare almeno due concetti: che l'albero è un soggetto storico e culturale con il quale interloquire e che la sua essenza è la sua straordinaria vitalità.
E come non ricordare allora quanto Gilles Clément ha insegnato: l'attenzione al vivente, che deve essere il principio guida del nostro rapporto con il paesaggio. Il vivente timido, dotato di imprevedibilità.....
E come non ricordare che i complessi cicli vitali che l'albero sostiene e produce sono una di quelle forme di “economie della natura” di cui parla Vandana Shiva, che dobbiamo imparare a rispettare? Quelle economie dove la natura dona e noi umani riceviamo.



Ecco cosa cercavo di discutere con Vitaliano Trevisan e Franco Zagari, alla Fondazione Benetton: la nostra dovuta attenzione a questo soggetto vivente importante essenziale e generoso che è l'albero. E non farei grandi differenze tra albero urbano e albero del bosco, anche se in un primo tempo ero tentata di farlo. Piuttosto, l'invasione del bosco di cui oggi ci si lamenta è da rileggere alla luce dei nuovi concetti di “restoration ecology”, una ecologia che lascia spazio alla natura, che chiede all'uomo -che ha preso tanto- di “restituire”. Sono politiche che ci arrivano dai paesi ex-coloniali, con le quali dobbiamo interagire e forse imparare, ma sono anche lo stesso concetto di Terzo paesaggio di G. Clément, di uomo che si sottrae (finalmente) e lascia spazio alla natura e alla sua vitalità, a cui dobbiamo re-imparare ad affidarci.



  1. sulla responsabilità.
Ho scritto altre volte come, secondo me -imparando dagli studi sul postcolonialismo- la devastazione ambientale del Veneto sia dovuta a una diffusa familiarità con il modello della “periferia diffusa” come condivisibilmente definisce V. Trevisan il nostro territorio. Se non ci fosse una responsabilità condivisa da parte di ogni cittadino, probabilmente non si sarebbe arrivati a questi punti.
E' anche vero però che ci sono state delle resistenze e molteplici opposizioni. La letteratura al riguardo è già vasta. Questo stesso blog è il frutto di una opposizione ultra-ventennale a una devastante opera, la A28. E' proprio il lungo e costante riflettere su questa vicenda che ci consente oggi di concludere che non tutte le responsabilità hanno lo stesso peso. Ci sono stati dei chiari momenti, nella costruzione della città diffusa, della megalopoli padana, della poltiglia urbana infetta in cui viviamo, in cui alcuni hanno potuto decidere la direzione da prendere, alcuni amministratori hanno firmato decreti, altri studiosi hanno firmato VIA, VAS, VINca, altri soprintendenti hanno negato o autorizzato VINCOLI, altri soggetti imprenditoriali hanno reclamato strade o altre buone dosi di cemento.
Intendo chiaramente dire che alcuni hanno avuto POTERE, altri no. Zaia, Galan, Matteoli, Melandri, Ronchi e Ministeri vari ecc. ecc. eccc. hanno “deciso” la A28, altri si sono invece opposti e hanno chiesto la tutela dei palù (WWF, comitati ecc.)
Ecco: la responsabilità è di chi ha avuto il potere decisionale, amministrativo. Non mi sento responsabile della distruzione dei palù, mentre so precisamente a chi attribuire questa responsabilità.
Questo è un caso esemplare, ma migliaia di altri si potrebbero descrivere.
E' questo ciò che intendo per “districare la ragnatela delle responsabilità”.
E' un discorso lungo, che sarà da riprendere in varie sedi, ma la negazione di questa posizione a me sembra che porti alla situazione che ha generato l'olocausto, ben descritta da Anna Harendt ne “La banalità del male”, dove ognuno si sente assolto perchè ha gestito solo una particella del processo, appositamente frammentato perchè nessuno si senta responsabile del risultato.
Altrettanto accade per es. nella macellazione degli animali, come mostrano alcuni poeti come Ferrero, o altri studi sui diritti degli animali.
E così, in ognino di questi casi, alla fine si arriva all'olocausto: del paesaggio, degli uomini, degli animali.
Come ha scritto L. Ferry, in “Storia politica del filo spinato”, ciò che accade alla natura accade poi agli animali e infine agli uomini.
Nella storia umana conosciamo bene esempi di tutte tre le varianti dello stesso processo....



Nadia Breda

La A28 non c'è più

Il mistero della A28 scomparsa?
Se vi recate in Google Maps, che pur sappiamo non sempre affidabile, e digitate A28, si aprirà una pagina in cui l'autostrada sui palù continua  apartire da Portogruaro, attraversa il Friuli meridionale ma, superato il Livenza, al confine con il Veneto si ferma.

La cosa oltremodo strana è che fino a qualche tempo fa l'autostrada invece era presenta in tutta la sua lunghezza, coprendo anche il Veneto fino al casello di San Vendemiano.

Leggiamolo come un'omaggio dell'algoritmo di Maps ai concretissimi palù e alle risorgive.
Qua, ci dice Google, l'autostrada forse è bene che non passi. E se purtroppo è passata per me comunque non esiste.

Magari, ma grazie comunque.

sabato 11 giugno 2011

Dibattito con Vitaliano Trevisan e Franco Zagari. Responsabilità impossibili = nessuna responsabilità?



Alcune considerazioni sull'interessante incontro di ieri pomeriggio alla Fondazione Benetton di Treviso.
Franco Zagari come interlocutore di Vitaliano Trevisan, lo scrittore/regista/attore/autore veneto che a partire da "Tristissimi giardini" affrontava di fronte a un pubblico molto interessato i temi del degrado del paesaggio veneto.

Ripeto: considerazioni molto personali che non sono una sintesi dell'incontro che ha ospitato anche alcuni interventi di Nadia Breda dal pubblico, ma ruotano su alcuni punti specifici.

"Tristissimi giardini" per me è stato un volume prezioso, concentrato su questo territorio, ma con uno sguardo diverso prima di tutto perchè non doveva (e non voleva) rendere conto a nessuno. L'autore che qui guarda e scrive del Veneto non è nè un paesaggista, nè un architetto, nè un sociologo o un antropologo, non un politico o un professionista di qualsiasi genere.

Il suo essere stato geometra ("senza firma") e lattoniere lo ha portato ad essere un co/protagonista della trasformazione del paesaggio e delle sue componenti (ha progettato capannoni e ha lavorato sulle loro coperture). La letteratura entra qui come strumento e prodotto di una ricerca per esplorare le "zone e percorsi di resistenza all'evidenza". Un esempio per Trevisan di questa resistenza sono quelle realtà del territorio che COME certe piante che bucano l'asfalto, mettono le radici su di un muro o nell'incavo di una grondaia trascurata, crescono e si sviluppano, vivono "senza rendersi conto che non è li che dovrebbero essere, e di quanto precaria sia la loro situazione."

Attenzione: l'evidenza non è la realtà di fatto, per cui resistere all'evidenza significa resistere ad una realtà che si può non accettare, che si può contrastare, ma una lettura della realtà. Come potrebbe essere la realtà virtuale di un gioco digitale: in questo caso il ruolo del giocatore è di entrare in questa realtà e farla sua, appropriarsene e tanto meglio ci riuscirà tanto più il gioco sarà soddisfacente: resistere all'evidenza di questa realtà virtuale significa cercare i difetti, le smagliature del gioco i suoi buchi ed i suoi bachi, in pratica fare le pulci al suo autore.

E difatti a Trevisan le piante, l'albero, non interessano. Non: la piantina che sopravvive nella grondaia, ma: il suo essere fuori posto, contradditoria, resistente al progetto del lattoniere, del geometra, del proprietario della casa.

In questa prospettiva "Tristissimi giardini" diventa un percorso denso e ricco di fulminanti immagini di queste resistenze: Vicenza "contenitore" di straordinatri, magnifici "contenitori" come la basilica e il teatro palladiano, città "vuota, insipida, futile, gratuita, decisamente non all'altezza di quel magnifico sfondo."

E qui nasce la contestazione di Nadia Breda a Trevisan: questa incapacità di riconoscere passato e presente del territorio veneto e quindi questo concreto agire nel territorio senza comprenderlo e -dice Nadia- senza volerlo comprendere, non è un dato di fatto, ma il frutto di una visione del territorio e di un agire, un fare progettuale, politico, imprenditoriale, sociale anche ad es. per i risvolti che si sono prodotti con la destrutturazione urbanistica che è stata chiamata città diffusa (Trevisan dice giustamente: periferia diffusa).

Per Trevisan invece non ci sono COLPEVOLI, responsabili da individuare, perchè siamo tutti colpevoli. Tutti noi che abbiamo votato questa classe politica per 50 anni o che pur senza averla votata abbiamo partecipato al festino economico che ha visto il Veneto schizzare al top mondiale della crescita del PIL, almeno nei decenni passati.

Nadia Breda ha contestato quindi 2 cose: innanzitutto che esistono e sono individuabili attraverso gli atti pubblici che hanno sottoscritto, i tecnici, i politici ed i partiti che si sono resi responsabili (nel senso più ampio) delle scelte di gestione del nostro territorio. E che rendere visibile questa realtà, chiamare a rispondere delle loro scelte tutti costoro,  significa uscire appunto dalla rete melmosa  che prende dentro tutti e nessuno,  contro la quale aveva ben scritto Hanna Arendt nella Banalità del male.

Non si tratta di trovare dei COLPEVOLI  per potersi sentire INNOCENTI, come le contestava Trevisan.  Certo sono d'accordo con Trevisan che siamo tutti -in varia misura- corresponsabili dello stato delle cose, ma solo con un riconoscimento delle responsabilità  (individuare chi ha autorevolmente promosso la distruzione del territorio e chi l'ha passivamente subita ad es.) potremo sperare di cambiare lo stato delle cose: prima dobbiamo riconoscerle.

Quindi, altro punto inportante, Nadia Breda ha ribadito l'importanza (anche simbolica), il significato dell'albero come creatura vivente innanzitutto, rispetto ad una prospettiva che oggi al più lo considera come oggetto di arredo urbano quando non, molto più spesso, un problema proprio per la sua vitalità: le radici che sollevano le pavimentazioni, l'ombra fastidiosa, un pericolo per gli automobilisti, etc.

Per Trevisan l'albero invece non ha valore in quanto vivente, ma in quanto elemento contestuale, come OGGETTO.

Da questo punto di vista mi pare in  accordo con la visione del paesaggio del Prof.Zagari, per il quale se è  vero che

Il paesaggio non si tutela pensandolo come qualcosa di statico, destinato a durare in eterno, ma progettando il difficile equilibrio, perennemente in movimento, tra la natura e la sua antropizzazione. [dall'introduzione di Renato Nicolini a Franco Zagari a Questo è paesaggio. 48 definizioni Gruppo Mancosu editore, Roma 2006]

questo equilibrio non sembra lasciare spazio alla natura ma solo all'idea (ed a una idea in patricolare) che l'uomo, l'architetto, l'esteta, il paesaggista ha della natura. 


Ma come parla, come rende conto di sè la natura,  l'albero in questa (im)possibile "mediazione" che la e lo vede presente o con la voce dell'uomo (che gli dà senso e storia) ma anche con la propria voce che è appunto la voce del suo esistere, del suo esserci biologico e storico, ma che appunto nella prospettiva di Trevisan diventa flatus vocis, nessuna voce o voce inascoltata da tutti??

In fondo buona parte della storia dell'uomo (non solo la nostra storia, ma di tutte le altre culture) è stata la storia di (come) questa voce senza parole ha preso la parola a partire dal suo essere concreto, dal suo esistere, ed ha costretto l'homo sapiens ad ascoltarla.

Solo oggi e qui, possiamo addirittura permetterci di non ascoltare più questa voce, di riconoscere come OGGETTI equivalenti un albero e un lampione, di nascondere quella fondamentale parte di noi che è natura prima ancora che cultura. Senza la quale saremo forse solo degli uomini a metà. 

Andrea Mattarollo

lunedì 6 giugno 2011

2 incontri alla Fondazione Benetton su: "Infrastrutture nel paesaggio."

Riportiamo ed invitiamo a partecipare, nonostante l'ora difficile...:

Infrastrutture nel paesaggio.
Paesaggio come infrastruttura

Due incontri attorno al tema della trasformazione
del territorio italiano e veneto, per contribuire a trovare
vie condivise per un diverso progetto di sviluppo.


lunedì 6 giugno ore 18
Veneto on the road
conversazione pubblica tra Renzo Guolo, Carlo Magnani e
Marco Tamaro
sulle tensioni esistenti tra sviluppo, mobilità
e tutela del territorio. Caso di studio emblematico sarà il
progetto del nuovo casello autostradale a Santa Lucia di Piave.


venerdì 10 giugno ore 18
Tristissimi giardini
a partire dalle tematiche al centro dell’ultimo libro
di Vitaliano Trevisan (Laterza, 2010), un incontro sui temi
della tutela del paesaggio che metterà a confronto la visione
particolare di uno scrittore e attore eclettico con quella di
uno dei più autorevoli esponenti italiani del paesaggismo:
Franco Zagari.