giovedì 2 febbraio 2012

I nuovi contadini

Antropologia, contadini: il mio posizionamento

sul tema.

Note su un convegno-litigio a cui ho partecipato:

“La memoria dei contadini”

Museo degli Usi e Costumi della gente di Romagna. Sant’Arcangelo di Romagna 11.11.11.

(Con proposta di Legge allegata)

www.metweb.org

http://www.metweb.org/eventi/memoriacontadini/presentazione.htm

Il convegno “La memoria dei contadini” (al Museo degli usi e costumi della gente di Romagna) è stato importante e bello. La data assai speciale: 11.11.11, in ricordo del giorno in cui scadeva il contratto di mezzadria, nel mondo dei contadini, ed era un momento di grande incertezza sul suo possibile rinnovo, poiché in alternativa il contadino e la sua famiglia facevano fagotto e andavano a cercarsi altro padrone-mezzadro. E’ la storia dell’”albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi (si veda in WIKIPEDIA alla voce “albero degli zoccoli”). Il convegno concludeva L’ANNO DEI MEZZADRI celebrato con molte iniziative e ricerche in Toscana nel 2011.

La data dell’11 novembre sarà proposta come giornata nazionale della memoria dei contadini nella significativa proposta di legge che allego, che merita attenta lettura perché è un documento sintetico informato e penetrante. Quello stesso giorno, nel bel paese di Sant’Arcangelo di Romagna, alle ore 11.00 sono stati sparati 11 colpi a salve, con grande emozione di tutti i paesani e i partecipanti al convegno!

La riflessione che segue è un brevissimo resoconto della mia posizione-ricerca sui contadini, di quanto ho detto al convegno e dibattuto nel dibattito generale, assai” vivace”!!

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L’antropologia ha fornito, nei pochi secoli di studi che la caratterizza, un buon numero di studi sulle civiltà contadine e su attività materiali e pratiche dell’agricoltura, in Italia e nel mondo. Gli ultimi decenni del secolo scorso hanno poi messo in evidenza come dietro a tanti e diversi “fare” dei contadini ci siano tanti “saperi”: saperi ecologici, naturalistici, tecnici, su animali piante acque oggetti e nature varie. Dietro al “fare” dei contadini c’è pensiero, c’è razionalità, c’è classificazione del mondo (quelle che sono state definite ecocosmologie…).

Credo che abbiamo contribuito concretamente alla possibilità di affermare che i contadini con i loro saperi e i loro modi di fare, sono il soggetto imprescindibile per il futuro dell’umanità.

Abbiamo le informazioni sufficienti per poter dire che i contadini del passato e i contadini attuali, i cosiddetti “nuovi contadini”, sono il cardine dell’uscita dalla crisi, l’unico motivo di speranza di risanamento della Terra, sono la vera rivoluzione e i veri rivoluzionari, poiché da essi, dalla loro produzione di alimentazione, dalla loro agricoltura multifunzionale dipenderà il futuro dell’umanità e il recupero della salute della Terra.

Questo sapere oggi non è più da fondare, ma anzi dimostrato da almeno due fondamentali studiosi e frequentatori del mondo dei contadini: Jan D. van der Ploeg e Silvia Pérez-Vitoria.

I loro testi e le loro ricerche sono imprescindibili per chiunque voglia fare un discorso sui contadini oggi.

Silvia Pérez scrive che:

  • I contadini non sono la stessa cosa degli imprenditori agricoli
  • Usano la terra, piuttosto che averla in proprietà
  • Realizzano l’autoconsumo prima dell’immissione nel mercato dei loro prodotti
  • Realizzano scambio ecologico anziché scambio economico
  • Praticano l’arte di valorizzare il gratuito della terra
  • Praticano l’aiuto reciproco piuttosto che la competizione
  • Possiedono saperi e saper fare piuttosto che agronomia universalista
  • Praticano la Razionalità ecologica piuttosto che quella economica

Van der Ploeg conferma queste idee con una mole enorme di dati, contesti e situazioni, documentando che esistono molteplici sfumature di questo essere contadini, oggi; che è visibile in tutto il mondo la “ricontadinizzazione” del mondo, taciuta però dalla stampa mainstreim, e anche in Italia e in tutta Europa essa è concreta; che esiste una lotta tra “Impero” e la comunità contadina, e che il futuro dei contadini è indispensabile al futuro di tutta l’umanità.

IN SINTESI, emerge chiaramente dagli studi come il processo capitalistico abbia ridotto la situazione contadina (un modo, uno stile di vita, non una classe, un ceto, una eredità, una condanna…) all’agricoltura industriale: un processo di distruzione dei contadini, poi ammantato di verde, poi di green economy, che ha prodotto fallimenti e non-efficacia, inquinamento di aria acqua e suolo, perdita di fertilità della Terra, espropriazioni delle sementi, impoverimento delle popolazioni, urbanizzazione dei contadini e –nuova- urbanizzazione delle terre, perdita della sovranità alimentare e nessuna risoluzione del problema della fame nel mondo.

In quanto antropologa che ha intensamente studiato e vissuto nel nordest d’Italia, posso testimoniare cosa sia successo ai contadini in queste zone, come siano stati distrutti e come si presenti oggi ai nostri occhi il paesaggio naturale e culturale del deserto/tabula rasa che è stato creato (qui non occorre che mi ripeta, basta leggere i miei libri o il lavoro dei blogger www.bibodallapaludeaicementi.com).

Posso elencarne qualche drammatico meccanismo della distruzione dei contadini, soprattutto ad opera della cosiddetta “urbanizzazione” delle terre (detta anche “valorizzazione”, mentre si tratta invece della sottrazione delle terre e del lavoro contadino attraverso costruzione di opere cementificatorie di vario tipo quali strade, autostrade, centri commerciali ecc. ):

  • costruzione/ripetizione della retorica della “miseria dei contadini”, quando invece si trattava spesso di quella frugalità così importante da ri-raggiungere oggi (vedi per es. decrescita).
  • Retorica della “povertà” dei contadini nel mondo
  • Banalizzazione dei terreni e delle aziende coinvolti da grande opere di urbanizzazione della terra, in modo da non dover giustificarne la sottrazione. Non riconoscimento della produzione di paesaggio.
  • Alleanza tra sindacati degli imprenditori agricoli/amministratori /politici/stampa mainstream,
  • Demonizzazione degli ambientalisti, che rende difficile l’alleanza tra contadini e ambientalisti
  • Desertificazione cartografica delle zone agricole.
  • Proposte di mitigazione monetaria in cambio della sottrazione delle terre
  • Inquinamento del linguaggio, per cui la distruzione delle terre è chiamata esternalità, l’efficacia del lavoro contadino deve diventare profitto e valore aggiunto, pena la sua invisibilità, la dignitosità frugale è chiamata povertà ecc.,
  • Nostalgia imperialista: si celebra nelle sagre, nelle feste inventate, nei musei quel mondo contadino che si è attivamente contribuito a distruggere.
  • Interiorizzazione della distruzione del modo contadino da parte dei contadini stessi: convinzione che non si può più essere contadini oggi, che non serve, che non dà lavoro; uso spropositato di chimica-meccanizzazione e auto-riduzione dell’autonomia del lavoro..

Si finisce poi con i suicidi dei contadini (India)

Silvia Vitoria-Pérez lo dice chiaramente: ci sono solo due strade, opposte e inconciliabili: o l’agricoltura industriale o l’agricoltura contadina e quindi i contadini. Non siamo a diversi stadi di un unico sviluppo, di una unica strada in cui gli imprenditori agricoli sono più avanzati e i contadini più arretrati.

Non c’è spazio per entrambe le agricolture, neanche lo spazio fisico per entrambe c’è.

C’è piuttosto una lotta tra le due.

I CONTADINI NON DEVONO SPARIRE, MA ESSERE RICONOSCIUTI COME UNA FONDAMENTALE OPPORTUNITA’ PER LE SOCIETA’. I contadini sono indispensabili per il futuro dell’umanità e della Terra, in quanto produttori di cibo per le masse urbane, costruttori di paesaggi, custodi della Terra.

Ecco quindi cosa è successo al Museo di Sant’Arcangelo di Romagna:

Io ho criticato le organizzazioni DEGLI AGRICOLTORI sindacali concertative presenti al convegno per questi motivi:

  • Perché non ri-conoscono la “nuova agricoltura” e il fenomeno della “ricontadinizzazione” che riguarda anche l’Italia. E questo è inaccettabile da parte di un soggetto sociale che si occupa di contadini e agricoltura.

· per aver continuato a sostenere l’imprescindibilità/inevitabilità/insostituibilità dell’agricoltura industriale, a fronte degli enormi problemi ambientali creati da questa industrializzazione. Il fenomeno è simile a quanto successo ad Oxford: gli studenti di economia hanno contestato e abbandonato l’aula dei docenti che illustravano le teorie liberiste senza il minimo accenno di critica e di consapevolezza. Oggi essa è pretesa.

  • perché tendono a nascondere i danni ambientali alla Terra causati dall’agricoltura industriale, facendo allo stesso tempo ambientalismo che io chiamo “da tavolino”: solo a parole, avvallando o sostenendo pratiche amministrative di distruzione di terra e di contadini
  • perché sostengono visioni negative degli ambientalisti e contribuiscono attivamente alla riproduzione di stereotipi su di essi (“gli ambientalisti non propongono nulla”, “se fosse per loro non si può fare nulla”… “vogliono tornare al tempo delle candele” e così via…), stereotipi che impediscono il confronto, la critica, la collaborazione, l’individuazione delle migliori strategie.
  • Perché non parlano di “contadini” ma solo di imprenditori agricoli
  • Perché la loro visione privilegia e favorisce l’agricoltura solidale con la chimica, con le imprese, con il libero mercato, con la meccanizzazine spinta (vedi il caso della macchina raccoglitrice di olive, che ho aspramente citato e criticato) avendo interiorizzato la –presunta- fine dei contadini.

Credo che le mie argomentazioni siano state ascoltate e che allo stesso tempo questo abbia un po’ destabilizzato le associazioni sindacali. Un rappresentante al tavolo del convegno ha infatti ammesso di “essere entrato pienamente in crisi” dopo la relazione di Conti-Breda e altri del tavolo di discussione.

Abbiamo anche litigato un po’!

COSA DIRE E COSA FARE

  • Dobbiamo fare tesoro dei saperi antropologici acquisiti e consolidati, ma andare oltre. I tempi attuali camminano molto velocemente e richiedono aggiornamento e posizionamento.
  • Dobbiamo dire quello che sappiamo ORA: diffondere gli studi di Silvia Vitoria-Pérez e di Jan D. van der Ploeg, che sono basati su ricerche sul campo e su frequentazione assidua dei contadini di tutto il mondo.
  • Dobbiamo creare alleanze tra studiosi-contadini-ambientalisti, rompendo quella svalorizzazione di uno o dell’altro a rotazione, che tanto fa comodo ai poteri forti e ai mainstream di turno. Serve questa alleanza perché ognuna di queste categorie ha bisogno dell’altra per affrontare le problematiche: non basta più studiare i contadini senza far sentire le loro voci, o studiare i contadini senza l’apporto dei contadini, o parlare “al posto dei” contadini, come spesso fanno i sindacati, o gli ambientalisti stessi. Né i contadini possono praticare un’agricoltura che non sia connessa con le tematiche di salvaguardia ecologica messe in risalto dagli ambientalisti. Infine sono necessari ad entrambe le categorie gli studi dei ricercatori su questi temi. I quali ricercatori devono “stare sul campo” e non a tavolino.
  • Dobbiamo lavorare sul linguaggio e sul modo di rappresentare il mondo contemporaneo dei contadini (per es. decostruendo l’ideologia della miseria e della povertà dei contadini del passato, che solo ora riconosciamo essere in larga parte una retorica costruita ed eccessiva-rispetto alle vere condizioni materiali dei contadini). Dobbiamo disinquinare anche il linguaggio che si riferisce alla Terra e ai contadini.
  • Dobbiamo studiare i “nuovi saperi” e le “nuove abilità” che vengono messe in campo dai contadini contemporanei, oltre ai saperi che abbiamo finora studiato, criticato ed apprezzato…
  • Dobbiamo sostenere tutte le azioni politiche che tutelano l’agricoltura contadina e valutare le politiche proposte chiedendoci se veramente vanno a favore dei contadini.
  • Ovviamente, bisogna fare ricerca sui contadini.

Nadia Breda 25.01.2012

PROPOSTA DI LEGGE

“ISTITUZIONE DELLA GIORNATA NAZIONALE

DEDICATA ALLA MEMORIA DEL MONDO CONTADINO”

d’iniziativa del deputato Cenni

relazione al Parlamento Italiano

ONOREVOLI COLLEGHI! – Le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato il mondo rurale soprattutto nel secolo scorso hanno rappresentato una chiave di lettura privilegiata per interpretare e comprendere al meglio i mutamenti del contesto sociale, demografico, economico, produttivo e culturale dell’intera nazione.

Sviluppi e metodologie della produzione agricola attraverso i decenni, le rivendicazioni per ottenere un moderno stato sociale, le lotte sindacali, i flussi demografici di inizio secolo scorso verso i paesi esteri, la presenza massiccia di braccianti e contadini nelle truppe militari (non c’è paese in Italia che non abbia caduti che venivano dai “campi”); il successivo e determinante contributo alla guerra di Liberazione, il boom industriale e l’urbanizzazione delle città; il riconoscimento della funzione di presidio ambientale, di tutela della biodiversità oramai presente in ogni indirizzo comunitario, nazionale, regionale, che orienti l’uso delle risorse pubbliche in agricoltura fino alla recente valorizzazione dei prodotti tipici, dei flussi turistici e delle economie che attorno ad esso si sviluppano e alla riscoperta di una connubio importante tra attività agricola e patrimonio paesaggistico ambientale sono solo alcuni tra i principali passaggi storici che hanno visto un ruolo, spesso di primo piano del mondo contadino, un mondo quindi protagonista, attraverso la propria fatica, le proprie conoscenze, la propria coscienza, di cambiamenti, di evoluzione culturale e sociale. Un ruolo diversificato e complesso.

La civiltà contadina, pur con caratteristiche e processi storici differenziati territorialmente, non può essere rappresentata solo attraverso l’immagine dei “lavoratori della terra”.

La relazione fra città e campagna, i rapporti di tipo contrattuale fra contadini e proprietari terrieri, la famiglia contadina e la sua funzione, hanno generato e segnato l’economia, il diritto in modo articolato. Nella letteratura antropologica i contadini fanno parte di un’area intermedia tra le società più semplici e quelle complesse e industriali. Questi lavoratori sono dominanti in contesti di società povere e parsimoniose, ma mai interamente autonome, in quanto dipendono dal mercato o dal padronato, o dai sistemi di intermediazione.

Gli studi antropologici hanno messo in evidenza, in questo contesto, le pratiche attinenti a queste società contadine: dalla tendenza alla auto sussistenza, alla rilevanza delle forme di matrimonio, dal risparmio cerimoniale per gli eventi festivi, alla gestione familiare, dalla religiosità, al mondo delle credenze, al ruolo delle donne dentro la larga “comunità” familiare. Senza dimenticare che appartengono all’universo “contadino” anche i lavoratori senza terra o con contratti parziali. In Italia la lista di queste forme occupazionali è stata studiata accuratamente ed è ampia e diversificata: dai braccianti, agli enfiteuti, fino ai mezzadri con colonia classica che sono stati una delle tipologie di contadini più importanti nella storia nazionale.

Il mondo delle campagne nel nostro paese è stato inoltre fortemente rappresentato nella cultura: la letteratura, dalla satira del villano, fino al mito del contadino tra emigrazione e ribellione nell’Italia moderna. Da Alessandro Manzoni a Giovanni Verga, da Corrado Alvaro a Francesco Jovine, da Ignazio Silone a Grazie Deledda e Cesare Pavese, hanno plasmato la storia letteraria nazionale. Sono stati anche alla base di quella “disgregazione sociale” che rappresentava il Sud nelle pagine di Antonio Gramsci. Anche il cinema ha dato la proprie diversificate letture mostrando sia il mondo degli “umili” già manzoniano (“L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi), quello delle ribellioni (“Novecento” di Bernardo Bertolucci) o anche dell’urbanizzazione (“Berlinguer ti voglio bene” di Giuseppe Bertolucci), per fare qualche esempio.

E’ comunque opinione diffusa che l’epopea dei contadini italiani rappresenti, nelle sua evoluzione storica, sociale e culturale, una pagina drammatica ed epica della storia nazionale. Mutamenti, spesso radicali, di un mondo dai valori e dalle usanze arcaiche, che ha perso gradualmente (fatta eccezione per alcune realtà ancora attuali ed alla citata riscoperta della campagna come habitat lavorativo) la sua identità e la sua funzione. Subendo al tempo stesso quel disagio “relativo” (come testimoniano, ad esempio, gli studi di Nuto Revelli e di Emilio Sereni, i numerosi musei e centri espositivi di documentazione sul mondo contadino, le opere di bonifica, le riforme agrarie oltre alle raccolte delle testimonianze dirette e gli archivi orali) verso i nuovi consumi urbani che ha fatto emergere una contraddittoria situazione sociale favorendo l’abbandono della terra verso il lavoro dipendente o la nascita di piccole imprese. Parallelamente alla “fuga” dalle campagne ed all’ingresso nelle attività produttive, i contadini stessi hanno elaborato una sorta di oblio del loro passato, considerato quasi misero e vergognoso.

Merita una citazione, in questo contesto, la mezzadria: una tipologia di conduzione agricola particolarmente diffusa in molte zone del nostro paese e dominante nei territori dell’Italia centrale che ha avuto un ruolo particolare sia per la posizione intermedia tra padronato, fattori, e braccianti, sia per il rapporto con la “Resistenza” e le lotte sociali. I mezzadri sono stati spesso i protagonisti di movimenti che hanno accelerato e promosso processi di democrazia e di rinnovo della classe dirigente.

Ovviamente, e fortunatamente, alcuni aspetti della civiltà contadina che ha caratterizzato la prima metà del ‘900, non sono del tutto dispersi ed abbandonati. Tutt’oggi si può parlare di “contadini”, riferendosi alle aziende familiari presenti nell’agricoltura contemporanea. Certo si tratta di famiglie ben diverse in un’epoca di denatalità, di aziende capaci di coniugare ricerca ed innovazione con le antiche conoscenze, la sapienza, la pratica delle più naturali tecniche colturali; di fattorie che hanno imparato ad integrare con ricettività turistica o produzione energetica il reddito agricolo. I nuovi contadini, consapevoli della ricchezza rappresentata dalle origini della civiltà contadina, sono coloro che mantengono una straordinaria capacità di selezionare le sementi in modo naturale, nonché di costruire relazioni ed accordi con il mondo della trasformazione, del commercio, della ristorazione. Ed ancora, vale la pena di ricordare il rilievo che i contadini e le loro attività rappresentano, soprattutto nelle aree più marginali del nostro paese, quale presidio del territorio e del paesaggio.

Prende spunto da questi ultimi elementi, ormai da alcuni anni, grazie anche a rivisitazioni antropologiche sociali e culturali di respiro internazionale, una oggettiva, riparatrice e quanto mai opportuna rivalutazione della figura del contadino ed anche una grande attenzione al tema del recupero della “Memoria” dei saperi, degli strumenti per la sua trasmissione (riti, dialetti, canti come i “Cantori del Maggio”) sui quali Enti ed Amministrazioni pubbliche, soggetti privati, Associazioni sono impegnati. Si ricomincia a parlare con riconoscenza del “condadino” guardando al futuro e non solo al passato, per l’alimentazione, per la critica alla moderna agroindustria senza identità, per la necessità di tutela del territorio, per il sovraccarico demografico e la complessa qualità della vita delle metropoli, per un modello di sviluppo industriale che mostra oggi evidenti limiti. Si guarda alla civiltà contadina come ad un pezzo della nostra storia da recuperare anche dentro ad un necessario ripensamento dei modelli di sviluppo e di crescita.

In questo quadro di riconoscimento, di valorizzazione di restituzione di dignità e di memoria si colloca quindi la presente proposta di legge che solleva l’opportunità, da parte del Legislatore, di istituire la “Giornata nazionale dedicata alla memoria del mondo contadino”.

A differenza di altre analoghe iniziative legislative, volte a radicare nella coscienza pubblica eventi di rilievo tale da avere segnato e condizionato la storia del nostro paese, soprattutto nel secolo passato, questo provvedimento è dedicato ad un tema che, forse più di altri, sfuggendo ad una periodizzazione puntuale, evoca la lunga durata, e, in un’epoca di incessante mutamento dei rapporti sociali, nonché di profonda crisi dei modelli economici e di sviluppo, ripropone la riflessione su realtà e su modi di vivere e di pensare che solo una nozione univoca e banalizzata di modernità considera ormai consegnati ad un passato definitivamente trascorso.

La proposta di legge in oggetto è composta da tre articoli: il giorno 11 novembre, in cui ricorrono le celebrazioni di San Martino (data particolarmente rilevante per la vita economica e sociale delle campagne italiane), viene riconosciuta dalla Repubblica italiana come “Giornata nazionale dedicata alla memoria del mondo contadino” (articolo 1). Tale giorno viene così a rappresentare, ai sensi dell’articolo 2 (che esclude la presenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica), una scadenza per tutti coloro i quali, a vario titolo, si occupano delle problematiche inerenti al mondo contadino: le istituzioni, il mondo agricolo, gli istituti culturali pubblici e privati ed i singoli studiosi impegnati direttamente nella conservazione e nella diffusione della memoria che l’11 novembre intende celebrare, anche attraverso una consistente rete di musei, archivi, biblioteche, ma anche le associazioni dei produttori, i cooperatori, gli imprenditori, la scuola, l’università e la ricerca. Le tematiche che possono caratterizzare la “Giornata” sono infatti molteplici, offrono spunti diversi e si prestano ad essere affrontate da differenti punti di vista: è auspicabile quindi che una simile scadenza venga utilizzata al meglio, e favorisca, quanto meno, l’incontro, il ricordo e la proposta su quello che è stato e sui possibili scenari economici e sociali di un futuro sempre più complesso e sempre meno prevedibile. L’articolo 3 definisce infine, data la straordinarietà di materiale storico, documentario, didattico raccolto e le numerosissime iniziative locali in essere, la messa in rete di tutte le realtà (centri di documentazione, raccolte di testimonianze, centri didattici, ecc..) che nella loro complessità daranno vita alla “Rete italiana della memoria della civiltà contadina”.


PROPOSTA DI LEGGE

ARTICOLO 1

1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 11 novembre come “Giornata nazionale dedicata alla memoria del mondo contadino”.

ARTICOLO 2

1. In occasione della Giornata nazionale di cui all’articolo 1 possono essere organizzati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, cerimonie, convegni, incontri e momenti comuni di ricordo e di riflessione, anche nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle Università, al fine di diffondere e sviluppare la conoscenza del mondo contadino nella sua dimensione antropologica, economica, sociale e storica; di favorire l’incontro e la collaborazione tra associazioni, fondazioni, enti e istituti pubblici e privati, a vario titolo impegnati su questi temi; di promuovere su di essi attività di formazione, informazione e sensibilizzazione.

ARTICOLO 3

1. E’ costituita la “Rete italiana della memoria della civiltà contadina”. La Rete si compone dei centri di documenti, di ricerca, di raccolta di testimonianze orali, materiali, delle Istituzioni, Associazioni, Enti impegnati nel recupero e nella raccolta. La rete, concordando le modalità con la Conferenza Stato – Enti locali, fa riferimento ai Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali ed al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che danno vita ad un apposito sito internet.

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