domenica 8 gennaio 2012

Arboricidio premeditato e barbarie a Conegliano e a San Fior (e Zaia non docet!)


[pubblichiamo questo post di Paolo Steffan dal suo BLOG 
Una sola riflessione: condividiamo in toto quanto detto sulla DISTANZA tra PAROLE e ATTI AMMINISTRATIVI CONCRETI: sono 2 mondi distanti anni luce, distanza  evidente in particolare nel mondo evocato dalla LEGA: difesa del territorio, delle tradizioni, del mondo Veneto (le PAROLE) contro la realtà di un depauperamento culturale, territoriale e amministrativo reale (ATTI CONCRETI) prodotto negli ultimi 20 anni leghisti tale che 130 anni di Stato italiano non sono riusciti a realizzare. 
La vicenda della autostrada A28 sopra i palù raccontata da Nadia Breda è una storia esemplare di questa distorsione della realtà.]

di Paolo Steffan
Cronaca di svariati crimini, gennaio 2012
Questo inverno, a Conegliano e a Castello Roganzuolo (San Fior) c’è una nuova pestilenza in atto, qualcosa che provoca dolore vedere, toccare, ricordare e respirare, e di respirare ci dà meno libertà, di ricordare l’impossibilità. Si tratta dell’uccisione di grandi alberi, della barbarie di cui sono vittima le siepi (e i fossi e gli argini). Alberi (e siepi) che hanno impiegato lunghi anni a crescere e a impreziosire, ispessendosi ed ispessendoci culturalmente! Alberi che sono depositari di memorie ed identità pari a quelle dei grandi monumenti, dei sacrari, degli affaticati colli.
***
Ebbene, cominciamo.
Parte I: Conegliano, arboricidio lungo il Monticano. E le “radici della città“?
A Conegliano usciva un libro, la primavera del 2011, meno di un anno fa: si intitolava LE RADICI DELLA CITTA’: alberi pietre e mappe a Conegliano (Arti Grafiche, Conegliano, 2011), bellissima pubblicazione dell’associaz. culturale Artestoria, con saggi di Lucio Dal Pan, Isabella Gianelloni e Michele Zanetti. Patrocinata dal Ministero delle Politiche Agricole, dal Comune di Conegliano e dalla Regione Veneto. Presentato da Alberto Maniero, sindaco di Conegliano, e niente meno che Luca Zaia. Vediamo prima di tutto cosa scrive degli alberi proprio Luca Zaia (p. 3):
Gli alberi sono i guardiani del nostro territorio e di questo contribuiscono a determinare le fattezze e il carattere.
In essi ritroviamo un presente che cerca di rimanere ancorato in modo saldo al suo passato. Un passato che, oltre ad aver forgiato la nostra identità, culturale, economica e sociale, ha determinato anche quella spaziale dei nostri territori, modellando, attraverso i secoli, i luoghi del vivere quotidiano.
Gli alberi sono ‘i grandi vecchi’ delle nostre città, monumentali entità che con la loro presenza ci ricordano le storie della comunità. Attorno a queste figure tanto vive quanto silenziose, si è sviluppato quell’ambiente rurale e urbano che ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale della nostra Regione. Così gli alberi diventano ‘esseri animati’, dotati di un’anima, quasi un genius loci della nostra terra
I nostri figli devono imparare che gli alberi non sono solo utili in quanto capaci di produrre frutti o di diventare combustibile, ma sono un codice per decifrare lo sviluppo e l’essenza della nostra comunità, dell’esser popolo di una terra, la nostra.
Che belle parole, sarebbero da far leggere nelle scuole! Un poeta, Zaia!!! … No, CAZZO: un politico!!! E allora vediamo cos’ha detto, e fatto, come politico, il signor Zaia, quando gli alberi erano quelli, dall’immenso valore specifico, dell’area Palù di S. Fior di Sotto-S. Vendemiano, dove per un tratto breve, ed abbastanza inutile [vedi il casino che c'è in SS13 Pontebbana da lunedì mattina a domenica sera], sono state sacrificati al Dio dell’asfalto migliaia di alberi siepi e acque sorgivissime (cito da Nadia Breda, Bibo. Dalla palude ai cementi. Una storia esemplare, CISU, 201o, p. 113 sgg.):
Il progetto si fa sulla carta e  sulle carte è riportato tutto (L. Zaia, “Il Gazzettino”, 26 feb 2006) [Ah sì, governatore? E gli alberi?...]
Non è una grande sorpresa [...] Li definirei ritrovamenti fisiologici, non credo proprio che il cantiere corra il rischio di essere bloccato per questo [...] Credo che anche in altri tratti percorsi dall’A28 si possano trovare reperti che comunque hanno limitato interesse e non giustificano certamente un blocco dei lavori (L. Zaia, La Tribuna, 23 giu 2002) [Ah sì, governatore? E l'identità? E la storia della civiltà rurale?]
Sarò soddisfatto solo quando sentirò il rumore delle ruspe e vedrò i cantieri aperti (L. Zaia, Il Gazzettino, 6 lug 2000) [Ah sì? Un cultore del rumore delle ruspe che ami gli alberi non si è mai sentito, Zaia caro!]
I veti posti dagli ambientalisti ci fanno un baffo (L. Zaia, La padania, 16 lug 2000)
Eccetera eccetera. Tante altre chicche di Zaia e suoi simili, tante altre ipocrisie (e lo dico senza cattiveria, perché chi da “poeta” scrive una cosa, ma poi nei fatti da “politico” ne fa tutt’altra, è un eufemismo dargli dell’ipocrita!) troverà chi legge la cronaca riportata in una sezione del libro di N. Breda…
Ricordato doverosamente ciò, torniamo più strettamente al discorso sugli alberi di Conegliano; della presentazione del sindaco Maniero mi limito a citare degli stralci (Le radici della città, cit., p. 5):
[...] alberi, “saggi custodi della memoria”, che sono parte integrante del paesaggio e dell’ambiente della città.
[...] alberi che ancora oggi comunicano con “le antiche pietre” e alberi che sono testimoni di un patrimonio storico artistico andato distrutto.
[riferendosi alla pubblicazione di Artestoria sugli alberi] vuole essere un percorso di salvaguardia della memoria [...]
Mah…
Mo’ vediamo le foto della “salvaguardia della memoria” nel verde lungo Monticano coneglianese, in un punto peraltro paesaggisticamente rilevante, da cui si ha tutta una panoramica in crescendo dei punti chiave della città:
PRIMA
Le grandi alberature del Monticano (foto di P. Steffan, scattata nel 2008, valida fino al dicembre 2011)
DOPO
Brandelli di cadaveri arborei (gennaio 2012)
Il Monticano orfano delle alberature viste sopra (gennaio 2012)
***
Parte II: arboricidi e siepicidi nei luoghi religiosi e storici più importanti di Castello Roganzuolo (S. Fior): alla facciaccia del Laudes Creaturarum di San Francesco (Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra matre terra, / la quale ne sustenta et governa, / et produce diversi fructi con coloriti flori et herba) e della memoria rurale (già stupratissima, come ho già qui rivelato in passato)!
Vediamo ora come i cittadini e – peggio – i PARROCCHIANI (fede in Dio e rispetto del Creato? Ma dove!?!) di Castello Roganzuolo (S. Fior) si rendano partecipi di questo sciacallaggio, proprio nel luogo più alto bello e significativo dei colli di questa località:
A) Chiesa monumentale e casa privata sottostante: tot. 6 grandi alberature:
PRIMA
Il colle con le sue straordianarie alberature, contribuenti alla bellezza del monumentale insieme
DOPO
La squallida nudità del colle dopo la barbarie perpetrata durante le festività natalizie (dic-gen 2011-12)
Particolari sul luogo del delitto (gen 2012)
B) Devastanti tagli-potature di siepi nella vecchia viabilità ad opera di privati: via Moranda Alta
PRIMA
Viabilità storica di Castello Roganzuolo (via Moranda Alta), con alte alberature (sul lato sinistro della foto) in dicembre 2011
DOPO
Le alberture viste sopra in gennaio 2012: se questa è manutenzione di siepi e alberi, se questo è un modo civile di "far nèt" lungo la viabilità storica di Castello Roganzuolo, allora potevate bruciare steffanpaulus:::suluapnaffets sul panevìn quest'anno!
A pochi passi dal precedente scatto: alberi e siepe motosegati nel modo più barbaro e ignorante possibile! (via Moranda Alta, Castello Rog., gen 2012)
***
Cari Sindaci, caro Governatore Zaia: non bisogna forse cambiare registro, forse regolamentare in modo più CIVILE il rapporto cittadini(/parrocchie)-alberi/siepi? in nome della Memoria, del decoro e della miglior qualità della vita in Veneto, che i cari concittadini complici del devasto forse non vogliono! Noi umani sì!
E continuate pure a dire che sono un insopportabile rompicoglioni; credo di essere uno che preferisce vivere con la MEMORIA e col Creato, non scriverne bene e poi razzolarne male!
Tutto questo, a futura memoria NOSTRA e degli Alberi del Monticano e di Castel Roganzuolo!!!
Vostro Paolo Steffan
NOTA: immagini e testi sono riutilizzabili solo previa autorizzazione del dententore della proprietà e, comunque, citandone sempre la fonte. Grazie.

domenica 1 gennaio 2012

BUON 2012

Buon 2012 con la poesia di amore e palù di Fabio Franzin


Amór tel paeù

I ièra ‘ndadhi a storneón un bel tòc

in mèdho a chii stradhóni, in zherca

de un posto bon, scont, pa’ inboscarse;

po’ i ‘vea ocià chea zhièsa alta in cao

al prà de pustòca; e là i se ‘vea quatà.

E ‘dèss – sfogà ‘l morbìn san dii só àni –

i ‘é restàdhi inpozhoeàdhi: ‘a machina

lustra inpiantàdha là ‘ndo’ che no‘é zhope,

‘ndo’ che no’ se ‘à mai fondà un vassór;

‘dèss le ‘é ròdhe che continua a giràr

a vòdho tel paciòt de chea credha fredha.

E lu ‘l bestéma. E ea ‘a pensa che le tardi

romài, che i sui, de sicuro, i ‘é su che i ‘a

spèta, e che l’à anca un cit de sbìgoea;

e chee ròdhe che no ‘e ghe ‘a fa far presa,

che no ‘e se spéta via dal caìvo, dal scuro.

(Come podhéi savér, lori, cussìta zóveni,

lori, vignudhi sù a tramezini e tiivisión

de èsser finidhi drento te un prà diverso

da chealtri - ‘ndo’ che i sèsti del só amór

i spuzhéa parfìn de profanazhión, squasi -,

un prà che no l’é pròpio un canp, ma che l’é

come ‘na fémena stèridha, o che nissun èpie

mai tocà, là sote; tèra che i vèci contadini

i ghe ciaméa “’ndar much”[1], parché no’

se pòl laoràrla e ‘lora i ghe ‘é sempre restàdhi

fòra co‘e só inpreste[2]. ‘Puro co’ tant rispèto).

E lori dó forse ‘dèss i ‘o maedhìsse chel paeù,

e lu intant el prova a rincuràr su un pòche

de rame e de fòjie stonfe da fracàr drento

a chee cariàdhe fresche, e ea, ‘ndandoghe

drio, ‘a baeghéa sora ‘l goldón che ‘l vea

butà fòra ‘pena prima de provàr a partìr

a chea strissa de sbòra che slusa un s.ciant,

‘ndo’ che mai òn ‘vea sparpagnà semenzha.

Amore nel palù

Avevano vagato per un bel po’ / fra quegli stradoni, alla ricerca / di un luogo adatto per appartarsi; / poi si erano accorti di quella siepe alta nel colmo / del prato incolto; e lì avevano dato il via alle carezze. // Ed ora – sfogata la sana lussuria della loro età - / sono rimasti impantanati: l’auto / lustra affondata in quel terreno liscio / ove mai penetrò aratro; / ora ci sono le ruote che girano / a vuoto nella mota di quella creta umida. // E lui bestemmia. E lei sta pensando che si è fatto tardi / ormai, che i suoi genitori saranno certamente in ansia / e che incomincia anche ad avvertire un po’ di paura; / e quelle ruote che continuano a non riuscire a far presa, / che non si staccano da quella nebbia, da quel buio. // (Come potevano sapere, loro, così giovani, / loro, cresciuti a tramezzini e televisione / di essere entrati in un prato diverso / dagli altri - dove i traffichi del sesso che avevano consumato / sapevano quasi di una profanazione -, / un prato che non è propriamente un campo, ma che è / come una femmina sterile o illibata; / terra che i vecchi contadini / definivano come frigida perché non si presta / ad essere lavorata e quindi le sono sempre rimasti / fuori con i loro attrezzi. Ma la contempo rispettandola). // E loro due forse ora lo stanno maledicendo, quel palù, / e lui intanto si affaccenda a recuperare un po’ / di ramaglie e di fogliame da adagiare sopra / quei solchi freschi, e lei, nel seguirlo, / calpesta il preservativo che aveva / buttato via un attimo prima di avviare l’auto // quel rivolo di sperma che luccica, un istante, / nel suolo dove mai uomo sparse alcun seme.


[1] “’Ndar much”, nel mio dialetto”mul”: scapolo. Modo di dire che esprime una metafora sessuale; questa espressione popolare, arcaica, del Quartier del Piave significa impotenza sessuale, mancanza di forza virile, incapacità di penetrazione, di compiere un atto sessuale e quindi, di conseguenza, di fecondare. La terra dei Palù, per le sue particolarità chimico-fisiche: cretosa, impermeabile, viene paragonata ad un essere femminile, perpetuando l’antico mito della terra madre, in questo caso con le connotazioni negative della sterilità. (c.f.r. da “PALU’” di Nadia Breda, Cierre Edizioni / Canova, 2001).

[2] “Inpreste” qui sono intese sia come gli attrezzi del mestiere, in questo caso del contadino; e sia nel suo significato popolare, volgare, che designa gli organi sessuali e quindi riproduttivi: dalle mie parti ancora adesso, di una coppia che debba correre ai ripari per una gravidanza non preventivata si usa dire: “i à vussùo scherzhàr co ‘e inpreste da piss”:/ hanno giocato con gli (attrezzi) organi urinari.